Editoriale
Cappuccino e Cornetto. La pelle dei Leoni
Nella sua rubrica Marco Ferri riflette sui risultati raggiunti dall'Italia all’ultima edizione del Festival di Cannes. "Ricapitolando: l’Italia “presta” personale autoctono per la creazione e la veicolazione di messaggi pubblicitari di grandi marche multinazionali: per questo si sono creati gli hub per la gestione dei clienti internazionali. Però, qui da noi rimane poco di soldi, pochissimo di cultura della comunicazione commerciale".
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Si diceva che teoricamente l’Italia è andata bene quest’anno a Cannes. In realtà è andata bene alle agenzie di pubblicità anglo-franco-americane che gestiscono in Italia la quasi totalità del mercato della pubblicità, sia dal punto di vista dei messaggi che dell’acquisto degli spazi pubblicitari. I fatturati delle multinazionali vengono ovviamente consolidati nei paesi in cui hanno sede i rispettivi quartier generali, e vanno a beneficio degli azionisti che investono nelle Borse americane, inglesi, francesi, tedesche, giapponesi, indiane o cinesi, non certo a Piazza Affari, a Milano.
Vista poi, la crisi verticale della stampa italiana, della radio italiana, nonché della tv italiana, sia pubblica che privata, neppure dal punto di vista dei fatturati derivanti dalle inserzioni pubblicitaria si può parlare di pubblicità made in Italiy. Gli investimenti su Sky, per esempio, vanno al monopolista australiano del satellite, mentre gli investimenti sul web vanno a vantaggio di player come Google o Facebook. E’ il mercato, bellezza!
A questo punto sarebbe logico domandarsi: nel mondo dell’economia globalizzata è normale che i mercati siano liberi e che le grandi strutture multinazionali facciano la parte del leone (appunto!)?
Magari però, visto che il Bel Paese è la culla del gusto, dello stile, dell’arte allora i creativi italiani vanno per la maggiore. E invece no: l’unica azienda italiana che al Festival di Cannes di quest’anno ha vinto un importante premio è stata Benetton. Ma l’agenzia non era italiana, bensì olandese.
Ricapitolando: l’Italia “presta” personale autoctono per la creazione e la veicolazione di messaggi pubblicitari di grandi marche multinazionali: per questo si sono creati gli hub per la gestione dei clienti internazionali. Però, qui da noi rimane poco di soldi, pochissimo di cultura della comunicazione commerciale. È vero che, come reazione professionale alla crisi, negli ultimi anni sono nate alcune strutture indipendenti, spesso con eccellenti capacità non solo creative ma anche organizzative. Ma finché le aziende italiane non la smetteranno di “accodarsi” ai budget gestiti dalle multinazionali della pubblicità e non riprenderanno in mano il destino della loro pubblicità, verranno sempre dopo i mega-budget globali.
La sbornia della televisione commerciale come unico totem per la commercializzazione dei prodotti sta finalmente passando: è ora che gli industriali italiani facciano scelte coraggiose e più concrete. E magari comincino a prendere gusto nell’arricchire i loro prodotti di buona pubblicità made in Italy. Vincere a Cannes non sarà il vero obiettivo del marketing, ma sempre meglio fare la parte del Leone che gli eroi dell’assenza. Beh, buona giornata.