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Editoriale

Cappuccino&cornetto. Nella pubblicità gli errori si pagano con la perdita del consenso del consumatore

Nella sua rubrica quotidiana, Marco Ferri riflette sull'ultima, discussa, campagna pubblicitaria di Dolce&Gabbana.

''Chiediamo che Dolce e Gabbana ritiri la pubblicità o che l'azienda sia richiamata al rispetto delle regole''. Firmato tredici tra senatrici e senatori dell'Ulivo e di Forza Italia, tra cui, prima firmataria Vittoria Franco, presidente della commissione Cultura e responsabile nazionale delle Donne Ds. Alla richiesta di sanzioni si è associato anche l'Assessore alla Moda del Comune di Milano, che ha detto:" è volgare e offensiva nei confronti delle donne e danneggia la stessa industria stilistica; la moda non ha bisogno di questo tipo di promozione".

Come tutti ormai sanno, si tratta di un annuncio pubblicitario in cui si mima una violenza di gruppo su una donna, che molti avranno visto sui quotidiani italiani. L'annuncio pubblicitario in questione aveva già fatto analogo scalpore in Spagna e la D&G ha deciso di ritirarla, non senza aver detto che si tratta di una foto artistica e che l'arte non è violenta. In realtà, al netto della richiesta dei parlamentari italiani e anche della decisione, unilaterale, dei direttori delle testate che hanno pubblicato l'inserzione ( perché come tutti sanno il commerciale vende spazi pubblicitari, ma il direttore della testata ha sempre l'ultima parola sull'opportunità della pubblicazione), inevitabilmente le polemiche diventano un moltiplicatore della comunicazione. Vale a dire che ben consapevoli di fare qualcosa che va oltre le regole, anche se solo quelle del buongusto, al solo scopo di proporre una provocazione, nel momento stesso in cui si accetta la provocazione, la polemica è un valore aggiunto dell'investimento pubblicitario, oltretutto molto prezioso, perché è gratis. Toscani docet.

A me non piace, non mi è mai piaciuta la censura. E credo sia del tutto sproporzionato il richiamo all'azione della Magistratura: c'è talmente poco senso della legalità nel nostro Paese, che i magistrati hanno davvero altre gatte da pelare. Del resto, è inutile entrare nel merito della rappresentazione che propone l'annuncio incriminato. Utile invece è prendere in considerazione una fatto molto semplice, che taglia la testa al toro a ogni tentazione censoria e a ogni valutazione moraleggiante sul ruolo della pubblicità.

Il fatto è questo: quando una azienda fa pubblicità esprime non solo offerte commerciali, ma il modo di pensare della marca, i suoi valori, la sua collocazione nelle problematiche sociali, che spesso coincidono, nel bene o nel male, con quello che pensa l'imprenditore. Allora la domanda è: condividete questo modo di vedere la donna, da parte di Dolce e Gabbana? Se è sì, continuerete ad acquistare e indossare quella griffe, se è no, beh, la conseguenza è semplice. Il fatto è che nella società moderna, per quanto qui da noi ancora sembri una cosa astratta, anche le aziende devono dotarsi di un etica. C'è chi la chiama etica dell'impresa.

Qualcosa mi dice che né Dolce né Gabbana abbiano voluto offendere nessuno. Ma le regole del gioco sono queste: a volte la disapprovazione generale è il controllore più efficiente dell'operato di una azienda. Soprattutto sul terreno della comunicazione commerciale. Beh, buona giornata.