Editoriale
Concato sulle gare: ecco perchè il modo migliore di scegliere un'agenzia non è quello più praticato
Andrea Concato interviene su un tema, sempre di grande attualità: le gare. E lo fa con una provocazione interessante...
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ecco di seguito il suo intervento
In un buon film di Claude Lelouch del ‘73, “La bonne année”, un duro rapinatore marsigliese Lino Ventura si trova a una cena privata disputandosi l’amore della bella antiquaria Francois Fabian con l’intellettuale italiano Silvano Tranquilli.
“Ma lei come fa a scegliere un film?” gli chiede Tranquilli. “Come scelgo una donna, correndo dei rischi.” scandisce serio Lino con la sua faccia lignea.
(godetevelo, è grandioso: http://www.youtube.com/watch?v=scKMIipJU7E)
E’ certamente un modo molto virile -che si illude di ignorare che nella maggioranza dei casi l’uomo è quello che viene scelto- per far colpo sulle ragazze.
Ma non è certo un buon sistema per un’azienda che dovesse scegliere un’agenzia.
Eppure, se guardiamo con disincanto al comportamento di molti clienti italiani negli ultimi dieci anni, fatichiamo molto a decifrare intelligence, metodo, competenza nello scegliersi il partner in una funzione divenuta sempre più cruciale per le guerre dei mercati.
Oggi più che mai una eccellente operazione di comunicazione può moltiplicare per molte volte l’efficacia dei denari investiti, e una di maniera può rendere lo sforzo quasi invisibile, con dolorosi guai di bilancio.
Se guardiamo alle liste delle agenzie chiamate in gare recenti fatichiamo a dedurre il criterio di scelta e dubitiamo che chi compone le liste conosca davvero il livello del talento, lo stato di grazia, l’organizzazione delle sigle chiamate. Se guardiamo alla breve vita delle campagne scelte attraverso una gara, itinerario che porta a un’altra gara, salta all’occhio che il metodo non funziona.
I migliori brand del mondo dal punto di vista del marketing hanno costruito i loro successi attraverso una lunga e proficua relazione con una sola agenzia, costruita nel tempo in un clima di
proficua disputa intellettuale. E pagandola abbastanza per poter attrarre e allevare i talenti migliori.
Non c’è bisogno di elencare i casi, sono nei libri.
Ma come fanno le aziende italiane a scegliere un’agenzia?
Fanno una gara, spesso chiamano un sacco di contendenti e scelgono l’idea che gli piace di più.
Bene. Sono tre cose. Tutte e tre sconsigliabili secondo il migliore metodo di questo mestiere.
La gara è un sistema sbagliato. La vera conoscenza delle agenzie è quello giusto. Troppe proposte confondono. L’idea da scegliere è quella migliore, ma bisogna saperla distinguere.
Anche un’agenzia in gara fa tre cose: compiacere, stupire, battere gli altri. Sono le regole del gioco.
Eppure, anche queste tre cose sono sbagliate. Chi conosce il mestiere, seppure malvolentieri, lo ammetterà.
Il miglior lavoro che ti puoi aspettare da una buona agenzia è quello di sorprenderti, di raccontarti qualcosa che non sai e a cui non sei preparato, di proporti qualcosa che non ha precedenti, di
proporti qualcosa che ribalta le logiche a cui sei abituato, di dirti dei no.
Ricordo una delle regole più pragmatiche che ho imparato negli USA: “Quando due uomini nella stessa stanza sono sempre d’accordo uno dei due è superfluo.” Se fosse usata veramente, metà delle persone starebbero a casa!
Si può fare solo in un serio lavoro comune permesso dalla fiducia, dall’ammirazione e dal rispetto reciproco, dalla presenza in entrambi gli schieramenti di chi può prendere le decisioni, si può fare solo misurandosi, sfidandosi, discutendo anche. Niente di tutto questo si può fare in gara, fra semisconosciuti.
Si dovrebbe scegliere un’agenzia con un metodo semplice: Chi sono - Cosa hanno saputo fare. Peraltro, è il metodo con cui si scelgono consulenti, avvocati d’affari, architetti, cuochi, dog trainer.
Però questo implica, come già detto, una conoscenza profonda delle persone e delle campagne.
Posso suggerire in alternativa il metodo del week end insieme in un resort di campagna, dove conoscersi, prendersi le misure, ma soprattutto ascoltarsi.
Oltre a essere molto più piacevole (oppure sgradevole, e così la scelta diventa facile) di una serie di riunioni e gravare meno sulla vita dell’azienda, permette di capire se le persone con cui sei sono le migliori con cui condividere un lavoro lungo, difficile e prezioso.
Ho sempre pensato che un buon osservatorio per giudicare le persone sia la tavola.
Fuori Italia invece il metodo più seguito è quello degli “agency consultant”, organizzazioni che aiutano le aziende a scegliere l’agenzia. Queste conoscono davvero il mercato.
Sanno benissimo che le agenzie si dividono grosso modo in tre gruppi:
Quelli che sanno e sanno fare. In genere misurati e sereni, sanno ascoltare, e sanno mostrarti i loro
successi spiegandoti anche come e perché li hanno ottenuti.
Quelli che proprio, anche nonostante le apparenze, i clienti importanti, la vistosa tracotanza, atteggiamenti, motorizzazioni e abbigliamenti, non hanno ancora la più pallida idea, e che appena
usciti dalla riunione di briefing si attaccheranno al telefono cercando i migliori creativi free lance.
Quelli che sanno fare, ma cercheranno di fare la campagna che farà parlare di loro più che della marca e del prodotto. Come quei fastidiosi intervistatori che fanno domande di dieci minuti per
mostrare quanto sono intelligenti e preparati.
Sanno benissimo che le agenzie sono sistemi chimici organici, che hanno cicli di vita, che mutano di continuo, che vivono momenti di grazia in cui tutto sembra, ed è, possibile, seguiti da momenti di disorientamento a seguito di abbandoni, litigi, incidenti. A proposito, ho visto clienti, anche molto importanti, chiamare un’agenzia, dopo che era già stata abbandonata da chi l’aveva fondata e ne rappresentava la ragione di essere, ma loro non lo sapevano ancora. Micidiale.
Sanno benissimo perché il creativo X che faceva grandi cose nella sua agenzia, appena viene chiamato da altri si spegne e non riesce più a produrre allo stesso livello, oppure viceversa, conoscono il talento del creativo Y, ma sanno che potrà volare alto solo all’interno dell’ambiente di un’agenzia che non è la sua.
Solo in un ambiente permeato dal sano confronto, dallo stimolo, dalla propensione all’eccellenza generata da un leader illuminato si vengono a creare progetti di valore.
Bisogna conoscere bene gli ambienti di ogni singola agenzia, per sapere da dove potrà uscire il lavoro migliore.
Vi sembra che sia meglio questo metodo o la solita gara?
E poi, fareste una gara per scegliervi un chirurgo?
Fareste ravanare nel vostro corpo sei/sette competitori per scegliere chi vi ha devastato meno?