Editoriale
Editoriale. Spirare è aspirazionale
Nel suo intervento, tratto dalla rubrica 'Eppur si muove' della rivista NC - Nuova Comunicazione, Sofia Ambrosini, fondatore e direttore creativo Freccia Ambrosini Volpi, riflette sul tema ‘testimonial pro e testimonial contro’. Perché la testimonianza di un volto famoso a favore di una marca non è un fenomeno solo italiano, ma è soprattutto nel nostro paese che l’argomento è caldo. La verità? Sta nel mezzo.
.jpg)
Un bel pensiero, molta ironia, intelligenza. E quattro testimonial. Testimonial, sì. Addirittura morti per droga. Fatte le dovute differenze, quest’annuncio mi ha fatto tornare in mente l’annoso, ma sempreverde, dibattito italiano ‘testimonial pro e testimonial contro’.
Per quelli pro, il testimonial è il modo più sicuro, dal punto di vista del risultato - e quindi anchedell’investimento - per dare forza e impatto alla comunicazione. Nelle sale riunioni delle aziende italiane, non è difficile cominciare a parlare di testimonial prima ancora di capire qual è il problema, quale la sfida, quale l’obiettivo per la marca.
Per quelli contro, forse venivano mandati a letto prima di Carosello, il testimonial è solo una scorciatoia creativa per arrivare più velocemente al target. La verità sta nel mezzo.
Esistono numerosi esempi di testimonial che hanno fatto la fortuna delle marche, e altrettanti esempi di campagne che non hanno funzionato nonostante la presenza di personaggi illustri. Qual è, se esiste, la regola? Anche se nel nostro mestiere è sempre difficile fare della teoria, posso dire, per esperienza, tre cosette, forse banali, ma nemmeno troppo.
La prima: il meccanismo del testimonial è semplice, ma anche delicato, il testimonial non è per tutti.
La seconda: non tutti i personaggi fanno bene a tutte le marche, la figa vende sempre, ma a volte anche no.
La terza: testimonial o no, chiarezza, coerenza e perseveranza nella strategia aiutano sempre la marca.
Giusto o sbagliato, non è quindi il testimonial in sé. Dipende dall’idea, dalla credibilità, da quanto il tal nome è giusto per quel mercato e quel prodotto, da quanto è vicino al valore che vogliamo comunicare, dalla presa che ha sulle persone, o anche, per contrasto, magari da quanto non c’entra nulla con quel prodotto e con quel valore.
Il testimonial, va da sé, prevede un budget di comunicazione consistente, non solo per il suo compenso personale, ma anche per l’investimento in generale, è infedele alla marca alla scadenza del contratto, ma a volte anche prima, ed è umano, sullo schermo rappresenta la marca, ma nella vita privata non è sempre un bel vedere.
Ma c’è speranza: il testimonial può essere anche animale. Ricordate il Border Collie Shonik di Infostrada, il mastino napoletano verace (Dogue de Bourdeaux) Ettore di Tim, e Bau, il piccolo trovatello (Australian Cattle Dog) della famiglia Alice? Si erano rivelati tutti e tre un ottimo investimento: molto meno cari, erano diventati quasi più star delle star di cui facevano la spalla, per non parlare della loro vita privata, sempre ineccepibile, e della loro naturale inclinazione per la fedeltà alla marca.
Sofia Ambrosini,
fondatore e direttore creativo Freccia Ambrosini Volpi