Editoriale
Il Naso Fuori. A proposito di 'The Shallows'
Nel suo intervento Marco Ferri, riflette sul libro 'The Shallows' di Nicholas Carr, nel quale si sostiene che il web sta cambiando il modo di pensare, leggere, ricordare, rendendo gli utenti superficiali. "Più si sviluppano i mezzi di comunicazione di massa, più aumenta la babele dei messaggi. Il messaggio deve essere forte e chiaro, arguto e coraggioso, tanto, non solo da farsi notare, che è il minimo della vita, ma anche in grado di farsi ricordare.
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di Marco Ferri
Con “Google ci rende stupidi?” Nicholas Carr ha probabilmente generato il più grande dibattito attorno alla Rete degli ultimi tempi. Nicholas G. Carr è un americano che scrive libri e articoli sulla tecnologia, il business e si occupa anche di cultura.
Recentemente, Nicholas Carr ha pubblicato, 'The Shallows', con un interessante sottotitolo: “How the Internet is Changing the Way We Think, Read and Remember.” Qual è la tesi di Carr? Questa: il web sta cambiando il modo di pensare, leggere, ricordare, rendendoci superficiali. 'Il modo in cui internet ci fornisce informazioni - dichiara l'autore - cattura il lato più primitivo del nostro cervello'.
Insomma, secondo l’autore, in questo periodo storico, per colpa del web noi tutti saremmo superficiali, iperattivi, deconcentrati, smemorati. Perché? Diamine, ma perché internet ci ha preso nella rete, modificando il nostro modo di funzionare del nostro cervello.
Mi sembra un bella provocazione, in un momento nel quale la pubblicità, per uscire dalla crisi in cui versa, ha puntato quasi tutto sul web.
Infatti, se un messaggio pubblicitario, viaggiando sul web, come dice Carr, catturasse solo“il lato più primitivo” del cervello dei navigatori, beh non è che proprio saremmo messi bene. Nel senso che, finito l’impulso primordiale a recepire l’immediatezza del messaggio pubblicitario, poi verrebbe meno la capacità di concentrazione di lungo periodo sui valori di una marca.
Lo stesso Carr ci dice che a lungo andare ciò che si rischia è di perdere è quello che viene definito come “pensiero contemplativo“, o di mettere a rischio la memoria associativa a lungo termine. Della serie: ho visto una roba carina, ma cècami se mi ricordo chi l’ha fatta. E’ come quando avete sentito dire: ho visto in tv uno spot carino, ma mica ricordo di che prodotto si trattava. Roba da suicidio del direttore marketing. Che fare?
La prima cosa da fare è piantarla di credere che siano i mezzi, new media compresi, a essere la panacea della crisi della pubblicità. La seconda cosa è farsi un bel nodo al fazzoletto: sono le idee che fanno la fortuna di una campagna pubblicitaria. Dal che deriva il seguente postulato: più si sviluppano i mezzi di comunicazione di massa, più aumenta la babele dei messaggi. Ergo: se vuoi farti sentire, devi andare controcorrente. Vale a dire che il messaggio deve essere forte e chiaro, arguto e coraggioso, tanto, non solo da farsi notare, che è il minimo della vita, ma anche in grado di farsi ricordare a lungo, nonostante “il lato più primitivo” del cervello tenda alla superficialità. Perché i consumatori hanno il diritto di essere superficiali, iperattivi, deconcentrati, smemorati. I pubblicitari no. Beh, buona giornata