Editoriale
Il naso fuori. Auditel “ringiovanisce” i dati d’ascolto
Nel suo nuovo intervento, Marco Ferri riflette sull'autoriforma di Auditel. "Il Consiglio di ammistrazione di Auditel ha deliberato la pubblicazione ufficiale dei risultati d'ascolto televisivi della fascia d'eta' 15-64 anni, (..) per fornire indicazioni più precise a 'orientare le scelte degli investitori pubblicitari'".
di Marco Ferri
Il Consiglio di ammistrazione di Auditel ha deliberato la pubblicazione ufficiale dei risultati d'ascolto televisivi della fascia d'eta' 15-64 anni. Lo sottolinea una nota Mediaset spiegando che i dati saranno forniti 'con le stesse modalità grafiche e tecniche dei tradizionali ascolti' e serviranno per fornire indicazioni più precise a 'orientare le scelte degli investitori pubblicitari' perché 'ormai la maggior parte delle campagne pubblicitarie televisive si rivolge al pubblico fino a 64 anni'. Questa è la notizia, quelle che seguono sono alcune considerazioni.
La prima considerazione appare un poco buffa, perché dire non interessanti ai fini della pubblicità in tv gli ultra 64enni equivale a estromettere ipso facto l'inventore della tv commerciale in Italia, cioè Berlusconi, ma anche l'attuale vice presidente di Mediaset, Confalonieri, per non dire del presidente di Auditel, Malgara e della Rai, Petruccioli. Anche loro sono over 64 e quindi a quanto pare, poco interessanti ai fini delle statistiche Auditel. L'avranno presa bene?
La seconda considerazione è che prendere a campione una fascia sociodemografica spalmabile sulla propensione all'acquisto va bene per la tv commerciale, non per il servizio pubblico, i cui rappresentanti siedono nel cda di Auditel e non si capisce se hanno capito ciò che hanno votato. Perché la Rai non fa solo pubblicità, fa anche pubblicità, i cui introiti si aggiungono al canone dei suoi abbonati, i quali non è che smettono di pagare il canone per sopraggiunti limiti di età.
La terza considerazione è che questa "autoriforma" dell'Auditel è stata una decisione che obiettivamente danneggia uno dei soggetti del duopolio, la Rai, che col vecchio sistema, che teneva conto anche dell'ascolto "anziano", è riuscita a battere Mediaset ripetutamente negli ultimi tempi, la qual cosa ha avuto riscontro sulle entrate di Sipra, la concessionaria Rai. Da oggi in poi, le reti Mediaset avranno facile gioco a dimostrare migliori performaces, a tutto vantaggio dei listini Publitalia, la concessionaria di Canale 5, Rete 4 e Italia 1, nonché del digitale terrestre. In altre parole, rischia di indebolirsi la competizione sugli ascolti, quindi lo spirito competitivo, utile al mercato.
La quarta considerazione è che tutto questo non riesce a risolvere la corretta valutazione dei dati qualitativi oltre che quantitativi. E Auditel sembra decisa a continuare nella strada della strenua difesa della tv generalista, a scapito non solo della tv satellitare, ma a tutto vantaggio di una concezione "tolemaica" del sistema tv nell'universo degli altri mezzi di comunicazione, utili alla comunicazione commerciale. Si dirà che questa è la mission di Auditel, cioé valorizzare l'efficacia della tv come mezzo pubblicitario.
Ma i fatti ci dicono che le cose stanno diversamente. Lo spot è morto. Non convince più, non buca, non vende. Ne hanno dato il triste annuncio alla fine dello scorso anno tutti i più importanti network americani di pubblicità. Contemporaneamente, grandi compagnie americane hanno cominciato a disinvestire i loro budget nella tv, preferendo altri media, fra i quali, ovviamente, internet. Sta cambiando anche il modo di comunicare i valori commerciali delle marche e dei prodotti: una comunicazione sempre più mirata e sempre meno generalista. La tendenza va verso la fine dell'idea del consumatore-massa, dunque via dalla tv, che per sua natura è generalista e non permette di segmentare con precisione, e senza spreco di contatti utili, i target di riferimento della marca.
La sproporzione del sistema televisivo italiano rispetto alla realtà economica nazionale e la residuale forte propensione alla spesa nelle nostre televisioni da parte degli investitori pubblicitari hanno ritardato finora che il fenomeno si avvertisse anche nel nostro mercato. Ma la tendenza è in atto e non tarderà a fare sentire i suoi effetti anche sui palinsesti nostrani. Non è una profezia.
Nelle agenzie di pubblicità si stanno cambiando metodi di lavoro e mentalità di approccio: spinti dalle scelte avvenute nei network dell'advertising mondiali, si cominciano a mettere in cantiere nuovi modelli organizzativi, per superare l'idea che pubblicità sia solo spot e non invece comunicazione commerciale integrata ad altri mezzi di comunicazione di massa. L'idea che la quantità dei messaggi commerciali, ripetuti in un breve lasso di tempo sia più importante della qualità dei contenuti espressi dalla comunicazione si è infranta contro lo scoglio della crisi dei consumi di questi ultimi anni: a più spot non è corrisposto più vendite. Ecco allora riprendere quota, con discreti valori, la pubblicità sulla carta stampata, e un piccolo, ma significativo incedere della pubblicità sul web.
La domanda è: può "l'autoriforma" dei panel dell'Auditel cambiare la percezione che ormai si sta facendo strada, secondo la quale la tv non è più sufficiente a rendere efficace una campagna pubblicitaria? Non sarebbe meglio utilizzare tecnologia e know how, di cui Auditel dispone, per fornire indicazioni utili alle marche e alle emittenti, ai pubblicitari e ai consumatori al fine comprendere che futuro c'è dietro l'angolo della tv, che sempre più sembra più vittima che carnefice della pubblicità?
Forse, meno appesantita dalla pressione degli investimenti pubblicitari, la
tv sarebbe in grado di giocare meglio tutte le carte per mantenere il suo ruolo
e non finire, come sta accadendo per la radio, come appendice di altre più
sofisticate tecnologie, offerte, con uno sviluppo logaritmico, dalle immense
opportunità delle telecomunicazioni moderne. O ci accontenta di sfruttare lo
sfruttabile, all'insegna del finché dura, in omaggio a una concezione del
mercato pubblicitario che preferisce l'ovetto oggi, alla gallina domani?
Se
così fosse non sarebbe una bella cosa per nessuno, nemmeno per chi oggi investe
ingenti budget pubblicitari nei canali televisivi italiani.