Editoriale

Naso Fuori. La buona creatività non inquina

Pubblichiamo il nuovo contributo di Marco Ferri. Riflessione sul ruolo della pubblicità sui temi ambientali.

Di Marco Ferri

 

 

 

 

Qualche mese or sono, Al Gore ha tenuto una conferenza a Bruxelles. Il fatto è degno di nota perché questo incontro era a porte chiuse, erano ammessi solo parlamentari europei, ma non la stampa. Nonostante la "consegna del silenzio", un paio di deputati italiani, manco a dirlo, si sono fatti sfuggire "che le tesi di Gore sono terrificanti".

Come sapete Al Gore ha vinto l'Oscar per "An Inconvenient Truth", film documentario sugli effetti dei gas serra, film che è stato anche proiettato nelle sale italiane. Al Gore ha scelto la via creativa per sostenere le sue tesi, visto che la via politica ha subito due sonore sconfitte: perdette la corsa alla Casa Bianca, perdette la sfida del Protocollo di Kjoto. Ma la via creativa gli ha recentemente dato, oltre l'Oscar un'altra vittoria: il premio Nobel. Al contrario del crimine, forse, la creatività paga. Chi crede di suggestionare le opinioni con il catastrofismo ambientalista, ha qualcosa da imparare da Al Gore. Chi suggerisce teorie della "decrescita", cioè sostiene la via del "fare a meno" da contrapporre "a più sviluppo" dovrebbe imparare a comunicare da Al Gore. Anche il negazionismo ambientalista ha qualcosa da imparare. "Stato di paura" romanzo negazionista di Michael Crichton ha avuto in Italia un sorprendente minor successo di "Il quinto giorno", di Frank Schätzing, scrittore tedesco fino ad allora sconosciuto in Italia. Il primo era supponente, il secondo romanzo sorprendente.

C'è da notare che Frank Schätzing è stato un pubblicitario. Come la gran parte dei pubblicitari, ha avuto modo di cimentarsi in campagne ambientaliste. Quella categoria "no profit" sulla quale volentieri si misurano i pubblicitari di tutto il mondo, quasi a volersi prendere "un'ora d'aria" dalla rigida disciplina della comunicazione commerciale. Spesso le campagne pubblicitaria legate a temi ambientali, però appaiono una "commodity" della pubblicità. E in questo rischiano di trovare il loro limite. Rendere promettente, coinvolgente, accattivante uno specifico tema legato alla salvaguardia del pianeta dipende, come è ovvio, dalle tesi del committente. Se la tesi è buona di per se, la creazione di un messaggio "pubblicitario" ha buone probabilità di successo. Se, al contrario, è velleitaria e propagandistica, la pubblicità riesce a far bella figura con se stessa, ma non passa oltre. La verità infusa è indigesta, poco appetibile, e rischia di diventare cialtrona. Cioè non credibile. La domanda è: sui temi ambientali che cosa è credibile? Ovvero: quale ruolo può giocare la comunicazione pubblicitaria? E' credibile ciò che contiene una idea forte, che aggiunga pathos, ironia e calore a un tema. Da solo il tema non parla, da sola l'esecuzione, sia pur brillante non funziona al cento per cento. Dentro questa forbice, si misura il ruolo della comunicazione. Se è autoreferenziale, se è semplicemente un megafono, se si autorappresenta come portatore di una verità "infusa", la pubblicità gioca un ruolo meschino e di retroguardia. Le organizzazioni ambientaliste sono organizzazioni politiche, nel senso che parlano e agiscono col linguaggio della politica. La politica moderna è ad alto contenuto di comunicazione.

La creatività ha il dovere, perché in questo ritrova un senso e un'efficacia, di rovesciare il paradigma. Vale a dire, di saper cambiare discorso, senza cambiare argomento. Nella recente campagna a favore dell'efficienza energetica firmata dal WWF si vede un uomo senza capelli che si asciuga la testa con un fon. Il titolo dice: è stupido sprecare energia. Nella campagna con cui il WWF lancia la prima webradio ambientalista, un microfono è posto davanti alla Terra. Il titolo dice: il pianeta pende la parola. Ecco due esempi in cui la pubblicità gioca un ruolo felice. Non si sovrappone ai temi delle campagne d'opinione, non pretende di sostituirsi all'azione del committente. Invece, interpreta un messaggio alla sua maniera: quella della sorpresa e dell'iperbole. Il messaggio funziona e ha funzionato, come ci dicono i risultati prodotti dalle due campagne in questione. Insomma, una buona creatività è utile e non inquina.