Editoriale

Space Available Here. Agenzie familiari

Pubblichiamo il nuovo contributo di Pasquale Diaferia. Tema di oggi: la mancanza di realtà familiari nel panorama delle agenzie italiane. "Quasi tutti i seconda generazione di creativi o manager della comunicazione di un certo livello si sono trovati con l'agenzia di famiglia venduta ad una multinazionale qualsiasi".

 

 

 

 

 

 

 

 

di Pasquale Diaferia

Esco da un bel convegno HSM con John Davis sul Family Business. Buffo che solo nel terzo millennio ci si accorga che le imprese familiari siano la colonna vertebrale di tutta l'economia italiana, e che vadano protette ed accompagnate.

Nella nostra industria, le agenzie familiari che vantano storia e ricambio generazionale sono infinitamente meno di quelle tradizionali. E dire che il talento si trasmette per via genetica e per frequentazione quotidiana del genio, entrambi dati di default dei figli di creativi. Con poche esclusioni, Marco Testa alla guida dell'impero di famiglia, Beppe Veruggio che festeggia i 50 ani di Firma fondata da suo padre e qualcun altro che al momento mi sfugge, quasi tutti i seconda generazione di creativi o manager della comunicazione di un certo livello si sono trovati con l'agenzia di famiglia venduta ad una multinazionale qualsiasi. Nonostante il talento ereditato abbia permesso a qualcuno di far carriera da direttore creativo in grandi strutture o di emergere in altri settori espressivi o in altre nazioni (ognuno conosce qualcuno con queste caratteristiche). Nonostante il problema si ponga anche all'estero: Grey è stata venduta a WPP anche perchè non c'era successione familiare.

Eppure stupisce che proprio nel bel paese, dove l'80 per cento delle aziende sono Family Business, l'italico, creativo ed individualista genio del nostro mestiere non si sia trasformato in continuità generazionale. Mentre nel 99% dei casi c'è stata solo una generica ed interessata corsa a monetizzare i clienti che avevano dato fiducia al fondatore.

pasquale@specialteam.it