Editoriale

Space available here. Senza parole

Pubblichiamo il nuovo intervento di Pasquale Diaferia. Tema della settimana: l'utilizzo della parola in pubblicità. "In principio era il Verbo. Solo dopo fu il Marketing. Da copywriter auspico il ritorno della Supremazia della Parola. Da osservatore, annoto orribili presagi".

di Pasquale Diaferia

Era una tendenza, ora è la regola. Per annunci vincenti, assenza di parole o dialoghi e una prepotente immagine/promessa. Axe Docet, ma anche il nostro Aqualtis vive di consolatorie seduzioni visive.

Poi vai a Cannes e vedi gli ori irlandesi nella stampa da 8000 battute. Il Grand Prix Outdoor per Tate Gallery, manifesti che sembrano pagine di quotidiano (a destra un'immagine della campagna). Sir Maurice Saatchi davanti a 1000 spettatori presenta la One Word Equity, ispirata alla Bibbia. In principio era il Verbo. Solo dopo fu il Marketing.

Da copywriter auspico il ritorno della Supremazia della Parola. Da osservatore, annoto orribili presagi. Beccalossi, geniale creativo quando circolava in mutande, promuove un salamino con parole davver modeste: "Sono Evaristo, scusate se insisto." Come principio generale, meglio un'astenia verbale che Cavallo Goloso.

Non vorrei essere costretto a dare ragione a sir Martin Sorrell. Parlando dei creativi si domanda "Why pay this people?".

Per rendere superiori le parole non basta scrivere. Per farci rispettare, noi copywriter dobbiamo capovolgere il pregiudizio. Dimostrare che una parola vale più di mille immagini, soprattutto se di stock market.