Editoriale

Vernice fresca. Dipendenti ambasciatori nella blogosfera

Pubblichiamo il nuovo contributo di Linda Bulgheroni, managing director di Weber Shandwick. Tema dell'intervento: i blog aziendali e la figura dei community manager. "Si tratta di impiegati comuni che però godono di forte credibilità all'interno della propria comunità. Sono il volto dell'azienda".

di Linda Bulgheroni, managing director di Weber Shandwick

Un po' in tutto il mondo sono ormai numerosi i ceo, i top manager di impresa e i professionisti della comunicazione che hanno un proprio blog. Ancora poche, invece, sono le aziende che hanno istituzionalizzato la funzione di community manager. E' così che vengono chiamati i bloggers che lavorano in Macromedia. Si tratta di impiegati comuni che però godono di forte credibilità all'interno della propria comunità. Sono il volto dell'azienda, come del resto lo è ognuno di noi durante le quotidiane attività professionali: parlare con un cliente, un fornitore, un analista, un potenziale consumatore o semplicemente spedire una e-mail.

Tuttavia, il community manager ha di fronte a sé una audience ben più ampia. Lo scorso anno pare che in Microsoft ci fossero più di 1500 bloggers. A centinaia ne risulterebbero anche in Sun Microsystems, in Ibm e in Nokia. Sono, queste, aziende che operano prevalentemente nel settore dell'It dove per l'appunto la comunità web è spesso cruciale per il business. Insieme alla nuova figura di community manager sono nati anche alcuni regolamenti da rispettare. Le regole, stilate dagli stessi bloggers sulla base di ciò che ritengono importante per loro e per l'azienda, vengono condivise con il management e quindi sottoscritte. Quasi tutte sono simili nei contenuti: citano la conoscenza e l'impegno al rispetto delle norme di condotta dell'azienda; stabiliscono di dichiarare il proprio nome e la propria funzione; di ribadire che l'opinione espressa è personale e che non coincide necessariamente con la posizione e le strategie della company. Questi codici di condotta, inoltre, stabiliscono l'impegno a non diffondere informazioni confidenziali, a non citare partner o clienti senza la loro diretta approvazione, a non rispondere a provocazioni, correggendo sempre i propri errori.

Viene naturalmente da chiedersi quanto sia rischioso per un'azienda, anche quella con la cultura più aperta alla trasparenza e al confronto e decisa a mettere in discussione i paradigmi della comunicazione istituzionale, decidere per la messa a punto di questa nuova funzione professionale. Mi piace molto la risposta che a tal proposito ha dato Tim Bray di Sun Microsystems e che ho recentemente avuto modo di leggere su "Branding" di Pratesi e Mattia. Il testo recitava più o meno così: ‹‹Se i vostri dipendenti non hanno compreso i vostri valori e non riescono a raccontare l'azienda in modo credibile, allora i blog sono l'ultimo dei vostri problemi››.