Inchieste

Re-shape the future. Robiglio (RED): "Abbiamo creato una struttura composta dai migliori professionisti per offrire consulenza, competenza, esperienza e affidabilità. Così affianchiamo i clienti per far crescere i brand in un mercato che cambia"

Nell'ambito dell'inchiesta avviata da ADVexpress, il founder, insieme a Paolo Dematteis, di RED, spiega come l'agenzia, nel nuovo scenario impattato dalla pandemia, abbia spinto l'acceleratore sul proprio approccio distintivo basato sulla consulenza di alto livello, per rispondere all'esigenza delle aziende di un unico partner affidabile, in grado di coniugare la forte competenza in termini di branding con una profonda conoscenza e capacità di gestione dei media digitali e della relativa creatività, per far crescere le marche in modo sano e coerente, mantenendo al centro dei messaggi il purpose e i valori. Le gare? "Vanno gestite con ordine e trasparenza, come all'estero e interpretarle come la ricerca del consulente giusto e non come un festival di campagne".

Prosegue con l'intervista a Riccardo Robiglio, Founder, con Paolo Dematteis, dell'agenzia RED Robiglio Dematteis, l'inchiesta avviata da ADVexpress tra le maggiori agenzie e aziende del mercato per comprendere come stanno riconfigurando offerta, approccio e modello di business  in vista di un graduale ritorno a una 'nuova normalità' del mercato, sebbene  il contesto sia tuttora fortemente penalizzato dalla pandemia. In questo scenario incerto e mutevole le imprese creative e non devono trovare un nuovo equilibrio fra risultati concreti di business immediati e di lungo periodo. 

 

Quanto sono cambiate – e come – le richieste dei clienti nei confronti dell'agenzia da questo punto di vista?

Le aziende stanno effettuando, direi disperatamente, due richieste. La prima, la più importante, è di avere al proprio fianco un consulente che sappia finalmente coniugare la forte competenza in termini di branding con una profonda conoscenza e capacità di gestione dei media digitali e della relativa creatività. Vogliono che lo stesso partner, e non più soggetti solo parzialmente preparati, sappia leggere le informazioni e i dati delle ricerche per trasformarli in una comunicazione che faccia crescere il brand in modo sano e coerente.

La seconda richiesta è l’affidabilità, quella data dalla capacità di gestire ogni snodo con sicurezza e qualità. Per conoscere bene i fornitori, i talenti, i tempi, i problemi, gli accorgimenti per evitarli serve grande esperienza, che non si improvvisa.

Si tratta di esigenze mai così forti come in un’epoca come questa di profondo cambiamento sociale ma anche di opportunità E’ un cambiamento che noi osservavamo già prima del Covid,  che ha agito da acceleratore nell'utilizzo crescente dei canali digitali, nel bisogno di sostenibilità sociale e ambientale, di relazioni e di emozioni vere, intime, familiari e amicali, nel recupero di azioni responsabili, della valorizzazione delle microcomunità, del benessere psico-fisico allenato quotidianamente. Questi temi di impronta neo umanista erano già sul tavolo e ora  chiedono lucidità nella lettura e lungimiranza nella costruzione. 


Per contro, come le agenzie, e nel dettaglio RED Robiglio&Dematteis, stanno rimodulando la propria offerta e la propria struttura per offrire approcci e proposition innovative e più consulenziali? In che termini la pandemia ha imposto un ripensamento del business model delle agenzie?

L'emergenza sanitaria non ha cambiato il nostro posizionamento: RED è nata, diversamente dal modello delle vecchie agenzie, basata sul concetto di consulenza. Quello che abbiamo fatto negli ultimi tre anni è stato chiamare in RED dei professionisti del digitale 'speciali': non dei semplici e bravi tecnici, ma persone che prima di tutto sanno costruire e custodire un brand. Ripeto, abbiamo creato una struttura di pochi, eccellenti professionisti per essere dei consulenti più forti, più dedicati, e siamo contenti di avere con le aziende una relazione differente da quella della classica agenzia. 

 

Attraverso quali strategie è oggi possibile cogliere le innumerevoli opportunità offerte dal nuovo contesto mediatico e garantire così ai clienti un ROI significativo?

 La risposta è una: competenza. Devi avere al tavolo i migliori professionisti, quelli più rapidi a capire e più talentuosi nel rielaborare. Dalla lettura dei dati alla creazione di una piattaforma creativa semplice nell’espressione, complessa per ricchezza di opportunità e, soprattutto, volta a costruire in modo ordinato, preciso e coerente il brand. Lo dico perché vedo una tendenza generalizzata ad accettare che la comunicazione online eluda segni, criteri e rotta del brand. Molti considerano i canali social come una sorta di parco dei divertimenti dove tutto è possibile: lo scherzo, l’incoerenza, la scarsa qualità perché ‘tanto va sui social’. I canali social non sono altro che i luoghi più frequentati dalle persone e quindi vanno presidiati con la stessa professionalità con cui presidiavamo la tv trent’anni fa. I tempi e gli spazi sono più stretti? Non è vero, e comunque questo è il terreno. Se in Italia, le persone con lunga esperienza nella costruzione del brand, conoscessero bene le tecniche e le strategie digitali, le aziende avrebbero risposte.

 

La pandemia ha riportato al centro i valori dei brand, l'importanza del purpose, di un modello sostenibile e di uno storytelling basato sulla verità: come e quanto cambiano i messaggi e i linguaggi della comunicazione in vista di un'auspicabile nuova normalità alle porte?

 Nel momento in cui si perde di vista il brand purpose, si smette di fare buona comunicazione. Se non si riportano i valori e i segni del brand in ogni pezzo di comunicazione, il brand perde occasioni, terreno, successo, profitti. Con le persone delle aziende non smettiamo mai di mettere al centro quei valori che indicano la rotta, il motivo per cui un brand esiste e opera nella società, per le persone. 

 Per quanto riguarda la sostenibilità: è un principio che riguarda ogni ambito della vita e che, come già detto, la pandemia ha accelerato. E’ sostenibilità il recupero del tempo personale, la disposizione ad ascoltare storie e la necessità che queste storie abbiano un forte contenuto di sincerità. Per questo lo storytelling è sempre più necessario, perché siamo sempre più in una società dialogante.

 

Parliamo di gare. Di recente ha sollevato l'attenzione del mercato e di UNA la gara del Consorzio Mortadella Bologna che ha ammesso una cinquantina di agenzie senza criteri di pre-selezione. Quali il punto di vista e la prassi dell'agenzia nel partecipare alle consultazioni? Come farle diventare un vantaggio per le aziende?

In italia succede spesso che un’azienda chiami a partecipare 5, 7, 10 strutture. Viene diffuso un brief durante una riunione asettica e poi ci si rivede il giorno della presentazione, che avviene in identico clima asettico. 

Non c’è quasi mai modo di avere una conoscenza approfondita per capire se due realtà sono in grado di lavorare insieme su una visione e un linguaggio comune.
E’ come se un paziente chiamasse al suo capezzale 5 medici e dicesse loro: senza visitarmi, senza che io vi parli di me in modo approfondito, voglio che ognuno di voi indovini la mia malattia e trovi la medicina. E anche in fretta.

Il risultato è ovvio: l'azienda non ottiene mai dall'agenzia il migliore servizio che quella è in grado di offrire. Questo perché l’agenzia su quella gara strampalata non coinvolge i suoi talenti migliori, che sono impiegati su progetti remunerati. Sono stato Executive di diversi grandi gruppi internazionali e non ho mai impegnato il mio migliore centravanti per una gara organizzata male o poco chiara.

Invece una gara è cosa seria, e per diversi motivi: perché attiene al futuro di un brand, perché un’azienda sceglie un consulente che avrà peso nei suoi risultati di business e, infine, perché sottopone i competitor a un impegno del tutto paragonabile a quello che dovrebbero esprimere per un cliente già acquisito: studiare, pensare, predisporre e verificare un progetto in ogni dettaglio strategico, creativo e produttivo. La società di comunicazione investe un numero di persone e di ore pari a quello che impiegherebbe se il cliente fosse effettivamente un suo cliente pagante.
A fronte di questo, è lecito pensare che le gare debbano essere gestite con ordine e trasparenza, come all'estero. Negli USA, UK, Francia si fanno gare importanti e sono ben disciplinate. Si sa da subito quanti e chi partecipa.
Spesso prevedono la  presenza di un legale o di una società terza, o ancora di un organo specifico interno all’azienda. Il numero di partecipanti è contenuto ( difficile andare oltre 3 inclusa quella in carica).
La questione del numero di partecipanti è centrale, non per abbassare il tenore della concorrenza, al contrario per alzarlo. 
Si può fare di meglio? Basta interpretare la gara come la ricerca del consulente giusto e non come un festival di campagne. L'azienda dovrebbe sondare il mercato e, in base alle proprie convinzioni, scegliere delle strutture che ritiene idealmente corrette. Le convoca una ad una non per lanciare un brief, ma per un colloquio che scandaglia ogni aspetto della futura relazione: affinità personali, visione del lavoro, visione del brand, metodi, persone, costi. 
Se ci pensate, ci comportiamo sostanzialmente così con il negozio sotto casa, dunque perchè non farlo con chi si occuperà della nostra comunicazione?
 
Se questi colloqui sono eseguiti bene, se il competitor riceve informazioni e ha modo di raccontare come affronterebbe la sfida, con quale tattica stratego-creativa, con quali persone e quali costi, l’azienda può scegliere la struttura che preferisce e assegnare l’incarico. Nel caso di dubbio o perché lo statuto implica comunque la presentazione di progetti finalizzati, l'azienda indice una gara concentrandosi quelle due strutture che, ormai su basi certe, ritiene migliori.
Con questi presupposti l’azienda è certa che i competitor daranno il meglio di sé. Semplicemente perché i due dottori hanno avuto accesso a tutte le lastre, hanno avuto modo di conoscere bene il paziente, sono stati messi nelle condizioni di lavorare nei modi e nei tempi corretti, e daranno vita a due diagnosi e due terapie adeguate. Questo approccio evita all’azienda dispersione di tempo e di qualità, e le assicura il risultato. In più, determina una crescita complessiva delle persone che lavorano nel settore della comunicazione, soprattutto dei  giovani, che troppo spesso pensano sia meglio andare a lavorare all’estero.

Naturalmente anche in Italia ci sono aziende che si muovono rispettando questi criteri. Attualmente RED è impegnata in una gara ben gestita per un grande gruppo nazionale. Tre strutture coinvolte, compresa quella in carica e ben quattro riunioni approfondite prima della presentazione dei progetti. Questo ci ha dato modo di lavorare bene, e poi vinca il migliore. 
C’è poi la questione dei minimi rimborsi. Il 99% delle gare è senza alcun ammortizzatore: se vinci ti pago poco, se perdi saluti. Con il risultato che 10, 20, 50 strutture lavorano contemporaneamente gratis per un mese sullo stesso progetto, il quale poi magari si riduce a un piccolo investimento media, magari di 300mila euro. Quanti soldi andranno alla struttura vincente, che impiegherà quattro o cinque persone per due o tre mesi? Briciole.