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NC. Ogilvy & Mather, comunicazione dis-integrata

La Best Holistic Agency agli NC Awards 2016 fa il punto sullo stato dell'arte della comunicazione: dal concetto di integrazione ai social brand, passando per i 'Big Data', fino al modello 'Jazz and Plug&Play'. A guidarci in questo viaggio il ceo, Guerino Delfino, convinto che l'approccio vincente consista nell'essere ossessionati dal nuovo, dalla sete di conoscenza e dalle visioni del futuro. Pubblichiamo l'intervista protagonista della Cover del numero di giugno - luglio 2016 di NC -Nuova Comunicazione.

Stiamo passando dall’idea di comunicazione integrata all’idea di comunicazione dis-integrata. Da un approccio fondato sui multiple touchpoint, quindi una visione lineare, basata sulla possibilità di reiterare i messaggi nelle varie occasioni di contatto, si è passati alla consapevolezza dell’importanza dei micromoment (Google parla di want-to-know, want-to-go moments, ad esempio). Forse, finalmente, possiamo parlare veramente di una visione che metta al centro le persone. Non la persona-consumatore, ma semplicemente la persona. Perché l’idea nella testa dei Cmo (chief marketing officer, ndr), che alla fin fine le persone là fuori siano soprattutto dei consumatori, è dura da cambiare. Negli ultimi anni siamo sempre stati alla ricerca del linguaggio giusto per il mezzo, per lo screen, per il media, come per i social network, ad esempio. 


Nei casi migliori, ci siamo spinti a identificare momenti diversi nel marketing funnel, per individuare messaging strategy piu efficaci e articolate, ma quasi sempre all’interno di un framing definito come ‘customer journey’ o ‘purchasing path’. Consumatori, appunto. Ma le persone che sono, ebbene sì, anche dei consumaori - vivono pulsioni, desideri, sentimenti molto diversi durante una semplice giornata. Una vera e propria dis-integrazione in vari momenti, in cui il livello di attenzione, o il desiderio di adesione sono molto differenti. Momenti in cui energia, emozioni, volontà fanno vivere esperienze diverse. Il moltiplicarsi di epic fail da parte dei brand credo che abbia molto a che fare con questa difficoltà di comprendere questo aspetto della relazione tra una marca - che viene vista sempre più come una vera e propria persona con responsabilità morali - e il proprio pubblico. La comunicazione non può essere integrata, per lo meno nel senso che abbiamo inteso fino a oggi. Deve essere dis-integrata. Svincolata, almeno in parte, dalla (futura) tirannia delle marketing automation, necessaria ed efficace sicuramente, ma il cui rischio è quello di omogeneizzarein format la struttura delle informazioni e dei contenuti.

Social brand

Si parla molto di brand come publisher. Io credo che, innanzitutto, i brand debbano occuparsi di fare quello per cui sono al mondo: prodotti e servizi. E farlo bene, in maniera etica, sostenibile. Con amore. L’aspetto più delicato è questo: le marche, come le persone, non sono giudicate solo per quello che fanno, ma per come lo fanno (è molto interessante che siano viste come soggetti con forti responsabilità morali, ma senza diritti…). E per quello che ‘pensano’. Sì, i brand che parlano, hanno un profilo Facebook e Twitter, postano foto su Instagram, ecc. e intervengono nelle conversazioni, sentono spesso l’urgenza di partecipare, prendere posizione rispetto a temi sociali e spesso politici. Non sono ancora pronte, almeno la maggior parte.

 

Data, bias, experience, razionale vs irrazionale 

Recentemente si parla molto di dati e ricerche. In Ogilvy abbiamo una lunga tradizione nella gestione e analisi del dato, fa parte della nostra cultura. I data analyst di Consulting siedono ovunque in agenzia, contribuiscono ai progetti più svariati, siano essi tipici progetti di Crme lead acquisition, oppure pura brand experience dove i dati sono più di natura qualitativa e comportamentale. A tal riguardo, abbiamo lanciato Ogilvy Change, la unit specializzata nei behavioral economics e nella psicologia cognitiva.

L’integrazione di cui abbiamo bisogno nelle agenzie è proprio questa. Un digital analyst che segga insieme a un choice architect di Ogilvy Change, che segga insieme a un esperto di Ux, che segga assieme a un creative planner, un social strategiste un giornalista; o un digital designer che segga assieme a un esperto di Ux, a un instagrammer, a un project manager e a un media planner. Ecco, questo succede ogni giorno in Ogilvy, in maniera naturale e fluida. È da questo tipo di integrazione che nasce l’innovazione e un nuovo modo di fare comunicazione. Che nascono oggetti così diversi, ma così potenti, come è accaduto, per esempio, quando abbiamo scritto il primissimo cortometraggio di Wind o, più recentemente, con la campagna per il riposizionamento di Levissima.

In entrambi i casi, abbiamo affrontato questi brief in maniera del tutto irragionevole rispetto agli assunti di partenza. Abbiamo dis-integrato processi e competenze. Attivato sensibilità diverse, con l’unico obiettivo di raccontare una nuova storia di marca. Il lavoro fatto per Wind ci ha dato grandi soddisfazioni in termini quantitativi e qualitativi e il fatto che anche in questa edizione degli NC Awards venga premiato un film che continua questa narrazione è sintomatico della bontà del nostro lavoro. Citavo Levissima proprio per lo spirito con cui abbiamo affrontato questo impegno, dove intelligenze provenienti dal mondo dell’advertising hanno affiancato i nostri professionisti del mondo digitale, per far nascere un’attività di comunicazione davvero completa, coerente su tutti i momenti di contatto, capace di attivare addirittura le logiche del nudging in capo a Ogilvy Change per un piano editoriale su Facebook che utilizza formati innovativi, ma soprattutto contenuti inediti per parlare di determinazione e sfide quotidiane.


Jazz and Plug&Play

Non sono le discipline o le diverse agenzie che devono integrarsi, sono le persone, gli specialisti, portatori di culture diverse. L’integrazione è ‘intorno al progetto’, intorno alla soluzione da creare. Quello che notiamo continuamente è che ogni agenzia, ogni disciplina è portata ad allargare il proprio perimetro di azione. Chi è l’owner del branded content, ad esempio? L’advertising? Le Pr? Oppure chi si occupa di marketing di relazione? Non è proprio questo il problema da risolvere, credo. Lo sforzo è spezzare i silos che si creano quando le diverse discipline - e i manager - difendono i propri spazi. Il ruolo delle discipline è quello di mantenerne la cultura, sviluppare le conoscenze, creare specialisti; guardiane e ambasciatrici di uno specifico knowhow and do-how. Non quello di cristallizzarsi in una (altra) agenzia. Io parlo spesso di ‘Jazz and Plug&Play’ come modello, se di modello si può parlare.

Il Plug&Play ovvero la capacità, che nasce dalla fluidità, di entrare e uscire da progetti, gruppi, unit in modo veloce e semplice, di partecipare e contribuire. Delle capsule che si formano e adattano continuamente. E Jazz, la capacità e la libertà di improvvisare all’interno di schemi-visioni-intuizioni. Affinché ciò avvenga, occorre che la struttura sia molto molto orizzontale, passando dai sistemi burocratici tipici di numerose agenzie a una forma di adhocracy diffusa. Questo è quanto stiamo cercando di fare in Ogilvy & Mather Italy: molta sperimentazione e molto coraggio. Pochi giorni addietro, analizzando i dati, appunto, mi sono reso conto che negli ultimi sei/sette anni sono arrivate in agenzia almeno dieci professionalità nuove (e non parlo di web designer o community manager, quelli c’erano già da tempo). A volte affascinati dalle persone che ci troviamo di fronte, sentiamo solo il desiderio di averli a lavorare con noi. 


Creatività e direzione creativa

Io vedo il lavoro del direttore creativo simile a quello di un curatore di esposizioni di arte contemporanea. Come un curatore, il direttore creativo deve saper lavorare con gli altri, attingere ispirazioni e informazioni ovunque e cercare di trasformarle in ‘visioni creative’; deve creare legami tra creativi delle varie discipline e tra tutto quello che c’è fuori. Paolo e Giuseppe (Iabichino e Mastromatteo, ndr), che si sono aggiudicati l’argento quali ‘Creativi dell’Anno’ agli NC Awards 2016, hanno storie professionali diverse, talenti diversi e la loro collaborazione è determinante per l’agenzia che stiamo costruendo e per il tipo di progetti che amiamo.

Ulrich Obrist, grande curatore e oggi direttore alla Serpentine Gallery, in una recentissima intervista sul Giornale dell’Arte racconta come Alighiero Boetti ritenesse che il curatore dovesse aiutare gli artisti a realizzare i loro sogni impossibili. Credo che i nostri brief non ci lascino tutta questa libertà, ovviamente, ma quella è l’intenzione. In concreto, oggi vedo sempre più vicino la direzione creativa al creative planning. E poi, nel nostro mestiere, se non siamo ossessionati dal nuovo, dalla sete di conoscenza, e dalle visioni del futuro, che ci stiamo a fare?