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Bertelli (Publicis) commenta l’ennesimo successo a Cannes e risponde a Sèguèla. I dati, la strategia sono il punto di partenza che permette alla creatività di volare e di vendere

In chiusura di un Festival nel quale è stato il creativo più premiato con ben 24 Leoni vinti da Publicis Italia, il Global Chief Creative Officer del Gruppo, in questa intervista, racconta il suo approccio vincente che, per trasformare i brand in love brand come Heineken, fa leva su dati, tecnologia, un rapporto di totale fiducia e di lunga durata con i clienti e su una pubblicità vicina alla vita delle persone, con l’intrattenimento come valore che lega generazioni diverse.

Un successo clamoroso quello che Publicis Italy ha raccolto anche quest’anno a Cannes rendendo ancora più tonda la buona performance dell’Italia in questa prima edizione in presenza dopo la fase più acuta della pandemia. Sono ben 24 i leoni che andranno a riempire gli scaffali già molto pieni dell’agenzia, tra l'altro classificatasi al terzo posto come Agency of the Year. 

Venti trofei che portano la firma di Heineken e quattro che riguardano Powerade, Netflix, e due per Bottega Veneta.   Bruno Bertelli è quindi il creativo più premiato a Cannes, e non solo, nella storia della pubblicità italiana. Ed è anche l’unico a ricoprire la carica di Global Chief Creative Officer di un grande Gruppo come Publicis Worldwide. Insomma, il confronto con i grandi maestri del passato non è fuori luogo. Proprio dall’intervista a Sèguèla (vedi news) parte la nostra chiacchierata avvenuta poco dopo la divulgazione dei leoni assegnati alle ultime categorie in concorso.

Per il maestro francese l’idea è come un bambino appena nato e non deve essere appesantita da piani strategici che rischierebbero di limitarne lo sviluppo. Bertelli, dissente, almeno in parte, dall’assunto e sostiene invece che se la strategia è chiara dall’inizio si è più liberi dopo. Insomma, from literal to lateral. Una strategia chiara, che punta a trasformare i brand in love brand, è possibile averla grazie ai dati.

Uno dei più importanti insegnamenti che la storia del rapporto tra Bertelli e Heineken insegna è che con i clienti è necessario creare un rapporto di totale fiducia e di lunga durata. “Lavorando per tanti anni con un cliente conosci bene i suoi veri problemi, di business o altro, entri in una dimensione consulenziale dove può anche accadere a volte che il brief non sia neanche necessario”. La pandemia, inoltre, ha cambiato molto le regole del gioco. “La relazione tra agenzia e cliente, ad alto livello è sempre più personale. Parlare e potersi confrontare direttamente col direttore marketing genera le campagne di successo che vediamo premiate qui a Cannes”.

Creatività e tecnologia, realtà virtuale e Metaverso, un rapporto difficile. “La tecnologia e l’innovazione rischiano di farti adottare sempre lo stesso tono, spesso molto serio. A differenza di brand come Heineken che per natura usano l’ironia. La bravura dell’agenzia è di innestare all’interno della campagna basata sulla tecnologia e l’innovazione il tono di voce che appartiene al brand. La tecnologia oggi è un touch point, un modo per arrivare al consumatore e deve essere vicina al momento di consumo, deve creare conversione.

Su un punto Bertelli concorda con Sèguèla. La pubblicità deve essere vicina alla vita delle persone alle quali si rivolge e ai partner del brand come ad esempio Heineken ha fatto durante la pandemia sostenendo il canale del trade.
“Essere rilevanti sulla vita dei consumatori è fondamentale ma è necessario passare a una rilevanza che abbia un impatto sulla società come ad esempio la campagna ‘The Closer’ che attraverso un gioco permette di bilanciare la propria esistenza tra vita e lavoro”.

L’umorismo, l’intrattenimento come valore che lega generazioni diverse. “Sì, il passaggio dai millennials alla gen z si è giocato sul ritorno dello humour. I millennials prendono tutto molto seriamente, a volte con pesantezza e negatività. La gen z è una generazione molto più pratica, vuole avere soluzioni, vedere la luce in fondo al tunnel, e l’umorismo diventa fondamentale. Anzi, c’è una somiglianza molto forte
tra gen z e gen X, quella degli anni ’80. Entrambe sono ironiche, focalizzate a trovare soluzioni. E si possono trovare affinità anche per quanto riguarda i gusti, ad esempio, col grande ritorno al pop”.

Quali le campagne che hai visto a Cannes quest’anno e che avresti voluto fare tu?
“Sono quelle che oltre a generare un’attivazione riescono ad essere anche iconiche. Un esempio per tutte la campagna Adidas (‘Beyond the surface', Havas Dubai, vincitrice del Grand Prix in Outdoor, ndr) dove l’acqua diventa un elemento inclusivo per tutte le donne.

Dall’internazionale al locale. Publicis protagonista di una crescita importante (leggi news del 13 giugno 2022). E si espande a livello internazionale col network Le Pub. Dopo l’Italia, dove risiede il quartier generale, è la volta del Brasile, Messico e a breve anche in Sud Africa per continuare con Singapore e Shanghai (leggi news 9 giugno). Scopo dell’agenzia è affiancare Heineken nei suoi principali mercati di riferimento attraverso un approccio che combina creatività, dati e tecnologia. “E’ un network che non voglio diventi troppo grande perché sono convinto che per rimanere creativa un’agenzia non può superare le 200 o 250 persone”.

Scriverai un libro prima o poi per condividere soprattutto con i giovani quanto hai appreso in questi anni? “Non ci ho mai pensato, magari lo scriverò quando smetterò di lavorare. E se lo farò sarà per usare l’esperienza per guardare avanti. In pubblicità oggi si punta alla sopravvivenza non c’è una visione su dove si vuole essere tra cinque anni. L’approccio vincente di oggi è la selezione dei touch point. In passato si cercava di raggiungere il consumatore in tutti i momenti possibili. Oggi la selezione è fondamentale dove magari ne servono soltanto tre per raggiungere l’obiettivo più importante, la conversion”.