Editoriale
Cosa fare per ripartire?
A seguito dell’intervista a Giuseppe Usuelli, e l’Editoriale del direttore di ADVexpress pubblicati nei giorni scorsi Emanuele Nenna, socio fondatore di Now Available, interviene nel dibattito che apriamo a tutti i nostri lettori.
Caro Salvatore,
ho letto il tuo editoriale di oggi su ADVexpress e ho ascoltato con attenzione l’intervista a Giuseppe Usuelli.
Il tema del futuro e della riqualificazione delle agenzie è di grande attualità, ma mi pare si continui a girare intorno al punto centrale: cosa fare per ripartire. Per il reset, citando la citazione di Usuelli, quali armi si stanno mettendo in pista? A me pare poche, se non pochissime.
Senza voler fare polemica: davvero pensiamo che assumere 10 apprendisti (o 20) è il modo per portare freschezza e innovazione? E che darsi come obiettivo principale quello di tornare ad avere un alto livello di profitto sia il modo per convincere i clienti a rimanere in Italia invece che scegliere BBH e Santo?
E ancora: dire che oggi gli account devono essere project manager (togliendo di fatto loro la costruttiva ambizione di poter aggiungere valore nella relazione con il cliente) è un modo per cercare di rilanciare la nostra Industry?
Come mai non si stente parlare da nessuna parte di progetti di innovazione, di ricerca, di contaminazione, di messa in discussione di vecchi modelli e proposta di nuovi? Dove sono i pensatori che una volta si occupavano di pubblicità? Dov’è un libro di aforismi di qualche grande pubblicitario di oggi? Siamo fermi a Ogilvy e Bernbach? Con qualche buona (e rara) eccezione, sembra che il pensiero qui da noi non sia più rilevante. Perché nessuna grande agenzia italiana sogna di scrivere una nuova pagina della storia dell’advertising inventandosi qualcosa di grande? O almeno di nuovo? Siamo creativi e pensatori, ma parliamo solo di numeri. O al limite di festival internazionali che valgono poco o niente -come è evidente leggendo il tuo editoriale 'pubblicità italiana alle corde' proprio dopo i successi dell’Italia a Cannes 2010.
Non dubito che negli uffici delle agenzie ci possano essere pensieri che vanno in questa direzione, ma non sono quelli di cui si sente parlare. Davvero non ci sono più idee, progetti visionari? Davvero esiste solo la vecchia scuola in decadenza e che cerca successori e il nuovo mondo del digital? Io non credo. Non credo che la scelta sia tra sottoscrivere integralmente il Cluetrain Manifesto (ispiratore ma integralista) o restare al palo. Tra i vecchi pubblicitari e gli anti-pubblicitari. Credo serva un pensiero nuovo, un’evoluzione che tenga conte dell’oggi e del ieri. E che guardi al domani. Come sarà l’advertising domani? Nessuno lo sa, ma qualcuno se lo chiede. Se sarà l’Italia a rispondere credo che i grandi clienti smetteranno di cercare altrove le loro agenzie.
Ultima considerazione, sulla cronaca: che bello se il talento di grandi italiani (Saffirio, Tortelli e Vigoriti in questo caso) viene valorizzato anche a livello internazionale. Che bello se una sigla storica e affascinante come DDB prova davvero a ridarsi una chance unendo le forze con chi ha dimostrato di sapere cosa fare. Se tutto è come (a me) sembra, questa fusione può essere una di quelle rare occasioni in cui - grazie al coraggio di cambiare qualcosa - magari si inizia davvero a cambiare tutto.
Concordo con Usuelli: serve uno scatto d’orgoglio. Ma per farlo servono visione imprenditoriale, voglia di cambiare davvero e idee nuove. Chi ce le ha batta un colpo.
Grazie, ciao,
Emanuele
Caro Emanuele,
con la tua lettera sollevi questioni importanti, di cui ti ringrazio. L’intervista all’Ad di McCann, e più modestamente anche il mio editoriale, avevano anche questo obiettivo, aprire il dibattito tra gli addetti ai lavori sul presente e sul futuro di questo mercato che, è evidente a tutti, sta attraversando un’evoluzione drammatica, dove nessuno possiede capacità divinatorie. Non posso ovviamente rispondere a nome di Usuelli. Dalla sua intervista emerge chiara, però, la necessità di riappropriarsi di quella autorevolezza nei confronti dei clienti, necessaria per affrontare l’evoluzione in corso, il ‘reset’ di cui parla. Un’autorevolezza che significa convinzione e fiducia nel proprio ruolo e anche valore economico riconosciuto per i servizi e la consulenza proposti. Aggiungo che le sue parole sanno anche di autocritica, qualità rara in questo mondo. Sarà comunque Usuelli, se vorrà, a chiarire meglio il proprio pensiero.
Dove porterà l’evoluzione, come sarà l’advertising del domani, come si sta evolvendo, sono domande che tutti noi ci poniamo e poniamo ai nostri interlocutori, aziende o agenzie che siano. La mia opinione è che certamente si va verso uno scenario più vicino a quello ipotizzato da Rick Levine nel suo Cluetrain Manifesto, ossia verso una società di individui, sempre più interconnessi, alle quali le aziende devono parlare con voce ‘umana’ e non come consumatori passivi.
In questo scenario il mercato italiano ha forse qualche difficoltà in più ad affrontare con convinzione il cambiamento in atto per i motivi che ho spiegato nel mio Editoriale 'Tutto cambia, cambiamo anche noi' . In sostanza, siamo ancora poco ‘media neutrali’ (come vuole essere la tua agenzia), conservatori nelle scelte di pianificazione (quasi tutti i paesi più evoluti investono più dell’Italia sul digital) e, di conseguenza, ancora poco inclini all’innovazione, anche nel linguaggio utilizzato dalla creatività italiana.
Con doverose eccezioni ovviamente, come il caso Heineken, che ha sbancato in tutti i Festival del mondo, a partire da Cannes, e il cui successo nasce da una profonda cultura e rispetto della comunicazione interna al cliente. A proposito dei Festival voglio precisare il mio pensiero. Vincere ai festival internazionali conta, eccome. Significa reputazione per i creativi, per l’agenzia, e per il paese stesso. E, ancora una volta, significa valore economico. Perché le aziende sanno di potere contare su bravi talenti creativi locali e non li ‘usano’ per declinare campagne realizzate altrove.
Quando parlo di pubblicità italiana alle corde intendo una sorta di incapacità da parte della community della comunicazione, troppo chiusa nelle proprie beghe interne e troppo intenta a piangersi addosso, ma incapace di alzare la testa e dire la sua alla società, dando la voce personaggi autorevoli e carismatici, a prescindere dall’età. Personaggi, mi sbaglierò, di cui si vedono rari esemplari in circolazione. Forse perché un mestiere fatto da imprenditori e creativi è diventato un mestiere di manager troppo condizionato dalla finanza? E di manager bravi in giro, anche in questo caso ce ne sono pochi.
Ecco, era semplicemente questa la mia nota ‘malinconica’ relativa alla vicenda STV, di cui siamo ansiosi di conoscere le evoluzioni, memori però di un illustre precedente, la D’A,L,V/BBDO: agenzia sulla breccia per tanti anni, poi, col progressivo e in alcuni casi doloroso ritiro dei suoi fondatori, ha conosciuto una parabola discendente che con impegno sta cercando di invertire (leone d’argento a Cannes 2010 con un film per Rolling Stones). Mi auguro di cuore e faccio un tifo sincero perché la fusione con DDB possa significare l’inizio di una nuova fase di rilancio per Omnicom e per la comunicazione italiana. Staremo a vedere.
Quindi, grazie ancora Emanuele, e ti invito a darmi la tua visione del futuro di questo mestiere.
Salvatore Sagone,
direttore responsabile