Inchieste
In nome del roi
Direct marketing e crm, display advertising, ma anche search e retargeting: sono solo alcuni fra i più usati strumenti di performance marketing, a cui gli investitori possono fare ricorso a seconda delle proprie esigenze e obiettivi. E che le agenzie di comunicazione digitale devono essere in grado di far ‘esplodere’ nelle loro potenzialità, facendo attenzione a target, creatività e interpretazione qualitativa dei risultati. Pubblichiamo il terzo articolo dello scenario relativo all'inchiesta 'performance marketing' pubblicata sulla rivista NC - Nuova Comunicazione.
Come abbiamo spiegato nel primo articolo di questa inchiesta, il performance marketing abbraccia praticamente l’intero arco dell’online marketing, facendo leva sia su mezzi 100% performance oriented sia su altri più tradizionali, dotati di peculiari tecniche a performance. Si tratta di strumenti vari e diversi fra loro, accomunati dalla misurabilità dell’azione e dal suo obiettivo finale, il miglioramento continuo in termini di Roi.
Ne analizzeremo qui alcuni, raccogliendo le opinioni degli intervistati. Di altri (come il programmatic o il social media marketing) non parleremo in questa sede, perché meriterebbero un’analisi approfondita e dedicata. Ci riserviamo di trattarne approfonditamente nelle prossime pubblicazioni di Adc Group.
DIRECT E CRM, LA BANCA DATI IN OTTICA PERFORMANCE
Partiamo dal direct marketing, ambito molto classico nella costruzione della relazione fra brand e cliente, in cui rientrano diversi mezzi - rete di vendita, telemarketing, direct mail ed e-mail, mobile marketing, coupon, ecc… - che può essere utilizzato anche in chiave a performance. Si tratta di una leva in ottica ‘push’, particolarmente adatta alla raccolta di profili (lead generation), che consente di rispondere a strategie che mirano ad allargare le banche dati, a raccogliere prospect interessati a un prodotto e/o a un servizio, e a trasformarli in clienti qualificandoli anche in base alle loro necessità e interessi.
Come spiega chiaramente Amedeo Guffanti, partner & general manager 77Agency: “Può essere molto strategico se si è in possesso di un database che sia in grado di classificare gli utenti per gruppi di interessi e se si capiscono i processi necessari a rendere il tasso di apertura delle e-mail ottimo ed efficiente”. Attenzione però all’effetto ‘overdose’ e ad avere sempre chiaro l’obiettivo. “Questo intenso uso dei data-base può facilmente sfociare in uno sfruttamento eccessivo degli stessi, creando la necessità di agire su messaggi e creatività, per rendere il contenuto destinato all’utente finale sempre appetibile - sostiene Francesca Pinzone, country manager Public-Ideas Italia -. Il direct marketing ha più finalità divulgative, raramente genera un’azione di vendita diretta; pertanto non lo consigliamo come canale da presidiare per chi ha obiettivi di vendita”.
Una volta acquisiti i clienti, è importante fidelizzarli con una corretta attività di Crm, cioè di gestione del database che, se davvero soddisfacente, può portare molti più risultati rispetto alla continua ricerca di clienti nuovi. Esattamente come per il direct marketing, però, il vantaggio e il limite principale di tali attività è legato all’acquisizione del dato.
"L’acquisto da parte di terze parti ha vantaggi in termini di tempi e, con modelli di acquisto a costo per azione, il ‘rischio’ è ribaltato in gran parte sul fornitore, quindi ci può essere un controllo diretto del Roi - spiega Luca Carrozza, director Reprise Media (IPG MediaBrands) -. Il limite però è quello di non raccogliere analizzare direttamente il dato, quindi di non poter lavorare direttamente in ottimizzazione o in ottica di miglioramento continuo. Uno degli errori che vediamo spesso commettere in tal senso è di attivare o spegnere diversi canali sulla base delle performance di singole campagne o iniziative senza avere un corretto modello di valutazione dell’impatto delle diverse attività sull’intero ciclo di vita del cliente”.
SEARCH, AL CENTRO DEL CUSTOMER JOURNEY
Vi è poi l’indicizzazione dei siti web, il search, che costituisce una leva tipicamente ‘pull’ e i cui risultati non sono immediati, ma crescono nel medio-lungo termine. Su di esso le opinioni sono contrapposte: vi è infatti chi, come Michele Marzan di Zanox, lo considera un ‘evergreen’ del performance marketing, e chi invece, come Amedeo Guffanti di 77Agency, ritiene che sia “l’antitesi della performance in quanto rappresenta un’attività di consulenza evoluta che necessita di un approccio molto etico, senza scorciatoie facili, in cui i contenuti vengono coordinati esclusivamente dal cliente con l’agenzia o in collaborazione tra IT e marketing”.
Rimane il fatto che intercettare un utente nel momento in cui, attraverso una ricerca, sta esprimendo un bisogno informativo è un punto da presidiare, in quanto significa poter attivare la comunicazione in una fase del consumer journey molto vicina alla conversione.
“I motori di ricerca forniscono opportunità di visibilità naturale, cioè sulla base della rilevanza e attinenza alla ricerca dei contenuti dei siti, e visibilità a pagamento - spiega Luca Carrozza (Reprise Media) -. E il costo pay per click ad asta dei motori di ricerca ha di fatto definito il modello oggi dominante per molte delle attività a per formance”.
Le attività di search marketing possono essere di Search Engine Optimization (Seo), finalizzate a migliorare la visibilità naturale sui motori di ricerca, e di Search Engine Advertising (Sea), finalizzate a massimizzare l’investimento necessario a presidiare gli spazi di visibilità a pagamento.
“In entrambi i casi il punto critico è legato alla conoscenza e competenza di tre elementi - continua Carrozza -: modalità e trend di ricerca da parte degli utenti (un’azienda produce ‘pneumatici per autovetture’, ma gli utenti cercano ‘gomme auto’, ndr), livello di competitività e scenario di mercato e qualità della presenza digitale dell’advertiser (dal singolo messaggio alla pagina di atterraggio, dalla rilevanza e attinenza dei contenuti alla popolarità, dalle referenze ai commenti, ndr)”.
DISPLAY ADV, UNA VETRINA INTERATTIVA
La qualità della comunicazione digitale è centrale anche per un altro strumento digitale ‘classico’, il display advertising, che deve sempre basarsi su un messaggio efficace daveicolare, una creatività anche grafica di alto livello, e una perfetta realizzazione della ‘landing page’, su cui il potenziale cliente ‘atterra’ dopo aver cliccato sulla pubblicità (o a seguito di una search sui motori di ricerca). Soprattutto quest’ultima “deve essere costruita in modo efficace - spiega Adriana Ripandelli, coooperations Mindshare -, rispondere alla promessa fatta nell’annuncio (quindi se si parla di un prodotto, nella landing page si deve trovare quello e solo quello, ndr), contenere una call to action chiara e semplice per convertire il potenziale cliente, che non lasci molte vie di uscita”.
RETARGETING, OVVERO ‘BATTI IL FERRO FINCHÈ È CALDO’
Eccoci quindi arrivati a uno dei mezzi più usati in ottica performance, il retargeting, che permette di raggiungere un utente nei giorni immediatamente successivi alla sua consultazione di un sito attraverso un annuncio pubblicitario che cerca di riportarlo a completare il funnel di acquisto nello step in cui lo ha interrotto.
“L’efficacia è molto alta - spiega Guffanti (77Agency) -: è dimostrato che nei cinque giorni seguenti l’utente che viene raggiunto tramite un banner che mostra quel prodotto a cui era interessato, è stimolato ad acquistarlo ed è molto probabile che lo compri”.
Una logica, insomma, del ‘battere il ferro finché è caldo’, che deve però essere fatto in modo creativo e mai scontato, in modo anche cross-canale: riproporre lo stesso prodotto, messaggio o creatività senza diversificare può essere addirittura controproducente.
Ilaria Myr
Ne analizzeremo qui alcuni, raccogliendo le opinioni degli intervistati. Di altri (come il programmatic o il social media marketing) non parleremo in questa sede, perché meriterebbero un’analisi approfondita e dedicata. Ci riserviamo di trattarne approfonditamente nelle prossime pubblicazioni di Adc Group.
DIRECT E CRM, LA BANCA DATI IN OTTICA PERFORMANCE
Partiamo dal direct marketing, ambito molto classico nella costruzione della relazione fra brand e cliente, in cui rientrano diversi mezzi - rete di vendita, telemarketing, direct mail ed e-mail, mobile marketing, coupon, ecc… - che può essere utilizzato anche in chiave a performance. Si tratta di una leva in ottica ‘push’, particolarmente adatta alla raccolta di profili (lead generation), che consente di rispondere a strategie che mirano ad allargare le banche dati, a raccogliere prospect interessati a un prodotto e/o a un servizio, e a trasformarli in clienti qualificandoli anche in base alle loro necessità e interessi.
Come spiega chiaramente Amedeo Guffanti, partner & general manager 77Agency: “Può essere molto strategico se si è in possesso di un database che sia in grado di classificare gli utenti per gruppi di interessi e se si capiscono i processi necessari a rendere il tasso di apertura delle e-mail ottimo ed efficiente”. Attenzione però all’effetto ‘overdose’ e ad avere sempre chiaro l’obiettivo. “Questo intenso uso dei data-base può facilmente sfociare in uno sfruttamento eccessivo degli stessi, creando la necessità di agire su messaggi e creatività, per rendere il contenuto destinato all’utente finale sempre appetibile - sostiene Francesca Pinzone, country manager Public-Ideas Italia -. Il direct marketing ha più finalità divulgative, raramente genera un’azione di vendita diretta; pertanto non lo consigliamo come canale da presidiare per chi ha obiettivi di vendita”.
Una volta acquisiti i clienti, è importante fidelizzarli con una corretta attività di Crm, cioè di gestione del database che, se davvero soddisfacente, può portare molti più risultati rispetto alla continua ricerca di clienti nuovi. Esattamente come per il direct marketing, però, il vantaggio e il limite principale di tali attività è legato all’acquisizione del dato.
"L’acquisto da parte di terze parti ha vantaggi in termini di tempi e, con modelli di acquisto a costo per azione, il ‘rischio’ è ribaltato in gran parte sul fornitore, quindi ci può essere un controllo diretto del Roi - spiega Luca Carrozza, director Reprise Media (IPG MediaBrands) -. Il limite però è quello di non raccogliere analizzare direttamente il dato, quindi di non poter lavorare direttamente in ottimizzazione o in ottica di miglioramento continuo. Uno degli errori che vediamo spesso commettere in tal senso è di attivare o spegnere diversi canali sulla base delle performance di singole campagne o iniziative senza avere un corretto modello di valutazione dell’impatto delle diverse attività sull’intero ciclo di vita del cliente”.
SEARCH, AL CENTRO DEL CUSTOMER JOURNEY
Vi è poi l’indicizzazione dei siti web, il search, che costituisce una leva tipicamente ‘pull’ e i cui risultati non sono immediati, ma crescono nel medio-lungo termine. Su di esso le opinioni sono contrapposte: vi è infatti chi, come Michele Marzan di Zanox, lo considera un ‘evergreen’ del performance marketing, e chi invece, come Amedeo Guffanti di 77Agency, ritiene che sia “l’antitesi della performance in quanto rappresenta un’attività di consulenza evoluta che necessita di un approccio molto etico, senza scorciatoie facili, in cui i contenuti vengono coordinati esclusivamente dal cliente con l’agenzia o in collaborazione tra IT e marketing”.
Rimane il fatto che intercettare un utente nel momento in cui, attraverso una ricerca, sta esprimendo un bisogno informativo è un punto da presidiare, in quanto significa poter attivare la comunicazione in una fase del consumer journey molto vicina alla conversione.
“I motori di ricerca forniscono opportunità di visibilità naturale, cioè sulla base della rilevanza e attinenza alla ricerca dei contenuti dei siti, e visibilità a pagamento - spiega Luca Carrozza (Reprise Media) -. E il costo pay per click ad asta dei motori di ricerca ha di fatto definito il modello oggi dominante per molte delle attività a per formance”.
Le attività di search marketing possono essere di Search Engine Optimization (Seo), finalizzate a migliorare la visibilità naturale sui motori di ricerca, e di Search Engine Advertising (Sea), finalizzate a massimizzare l’investimento necessario a presidiare gli spazi di visibilità a pagamento.
“In entrambi i casi il punto critico è legato alla conoscenza e competenza di tre elementi - continua Carrozza -: modalità e trend di ricerca da parte degli utenti (un’azienda produce ‘pneumatici per autovetture’, ma gli utenti cercano ‘gomme auto’, ndr), livello di competitività e scenario di mercato e qualità della presenza digitale dell’advertiser (dal singolo messaggio alla pagina di atterraggio, dalla rilevanza e attinenza dei contenuti alla popolarità, dalle referenze ai commenti, ndr)”.
DISPLAY ADV, UNA VETRINA INTERATTIVA
La qualità della comunicazione digitale è centrale anche per un altro strumento digitale ‘classico’, il display advertising, che deve sempre basarsi su un messaggio efficace daveicolare, una creatività anche grafica di alto livello, e una perfetta realizzazione della ‘landing page’, su cui il potenziale cliente ‘atterra’ dopo aver cliccato sulla pubblicità (o a seguito di una search sui motori di ricerca). Soprattutto quest’ultima “deve essere costruita in modo efficace - spiega Adriana Ripandelli, coooperations Mindshare -, rispondere alla promessa fatta nell’annuncio (quindi se si parla di un prodotto, nella landing page si deve trovare quello e solo quello, ndr), contenere una call to action chiara e semplice per convertire il potenziale cliente, che non lasci molte vie di uscita”.
RETARGETING, OVVERO ‘BATTI IL FERRO FINCHÈ È CALDO’
Eccoci quindi arrivati a uno dei mezzi più usati in ottica performance, il retargeting, che permette di raggiungere un utente nei giorni immediatamente successivi alla sua consultazione di un sito attraverso un annuncio pubblicitario che cerca di riportarlo a completare il funnel di acquisto nello step in cui lo ha interrotto.
“L’efficacia è molto alta - spiega Guffanti (77Agency) -: è dimostrato che nei cinque giorni seguenti l’utente che viene raggiunto tramite un banner che mostra quel prodotto a cui era interessato, è stimolato ad acquistarlo ed è molto probabile che lo compri”.
Una logica, insomma, del ‘battere il ferro finché è caldo’, che deve però essere fatto in modo creativo e mai scontato, in modo anche cross-canale: riproporre lo stesso prodotto, messaggio o creatività senza diversificare può essere addirittura controproducente.
Ilaria Myr