Inchieste
Italia vs estero: Davide contro Golia?
C'è chi pensa che la creatività pubblicitaria italiana ancora arranchi e che si potrebbe davvero fare di più e meglio; e c'è invece chi sostiene che i risultati degli ultimi anni siano confortanti. Un segno che si è imboccata la strada giusta. Certo altri Paesi raggiungono traguardi ben più importanti, ma nella crisi la nostra comunicazione sta reagendo bene. E se lo dicono i creativi che vivono all'estero... Pubblichiamo l'intervista tratta dall'inchiesta 'Creatività italiana vs creatività internazionale' tratta dall'ultimo numero di NC - Nuova Comunicazione.
Vincente, ma non vittoriosa. Come è emerso anche dall’articolo precedente, così è stata l’Italia nell’ultima edizione del Festival di Cannes, in cui ha certo ottenuto dei premi, ma non ha brillato per numero di leoni. E in generale, gli esempi davvero efficaci made in Italy sulla scena internazionale non sono numerosi. Il motivo? La mancanza di ironia, come spiegava bene nell’articolo precedente Maria Angela Polesana, docente dello Iulm. Non solo. A monte vi sarebbe anche la ritrosia dei clienti a sperimentare nell’adv strade nuove: un aspetto che già da anni i creativi italiani lamentano e che perfino un esponente della creatività internazionale come Amir Kassaei, chief creative officer DDB Worldwide, presidente della Giuria Film all’edizione 2014 del Festival di Cannes, ha condiviso ai microfoni di Advexpress.tv. “Quello che non capisco dell’Italia - affermava - è come mai un Paese così creativo, punto di riferimento mondiale per la creatività in moda, design, architettura, non sia altrettanto creativo in adv. L’adv non è considerato un business serio in Italia, e credo che i creativi abbiano serie difficoltà a convincere i clienti che la creatività può aiutare il business”.
Tuttavia, negli ultimi cinque anni sempre più creativi italiani hanno raggiunto risultati importanti: ad esempio, nel 2013 l’Adce (Art Directors Club Europe), di cui Kassaei è presidente, ha assegnato il Grand Prix proprio a un progetto italiano, ovvero ‘Integration Day’ di Saatchi & Saatchi Milano per CoorDown Onlus. “L’importante è che i creativi italiani non cerchino di imitare i colleghi stranieri - continuava Kassaei -, ma che facciano adv in un’ ‘Italian way’. Perché voi avete qualcosa che nessun altro Paese ha. Dovete solo focalizzarvi su questo plus”. Così diceva Kassaei nel 2014, e così la pensano ancora alcuni creativi italiani, che imputano ai clienti una buona parte di responsabilità nella qualità della comunicazione.
“È la domanda a fissare gli standard è convinto Marco Carnevale, creative partner e presidente Yes I Am-. Molte agenzie italiane sono perfettamente in grado di ideare progetti originali. Il problema è che non sono messe nelle condizioni di farlo, e a domande banali dei clienti rispondono con soluzioni scontate”. Ma anche le agenzie hanno le loro mancanze. Ne è certo Lorenzo Marini, fondatore Lorenzo Marini Group: “Nelle multinazionali della comunicazione, i creativi in Italia sono stati tenuti sempre ben lontani dalla realtà dei clienti, lasciati nel recinto della creatività senza mai essere esposti alla parte ‘meno nobile’: gli investimenti, il mercato, la distribuzione e i media. Da qui generazioni di creativi interessati solo alla ‘bellezza’. Un approccio visto dai clienti come superficiale”. E poi c’è un problema prettamente italiano di serietà nel lavoro, che riguarda l’intero ‘sistema Paese’.
“Quando non si paga una fattura dopo 30 giorni, quando si indicono gare senza compenso fra 10 agenzie, o si millantano servizi e competenze che non si hanno, come potrebbe esserci serietà? - si chiedono Enrico Chiarugi e Daniele Freuli, partner e direttori creativi Wrong Advertising-. Quello della serietà è un problema culturale e sociale molto ampio, che nel nostro settore si fa sentire ancora di più in quanto trattiamo la materia più rilevante e impalpabile: le idee”.
Adagio con brio
Non tutti, però, condividono il punto di vista negativo nei confronti dell’advertising italiano. Molti dei creativi sostengono infatti che gli ultimi risultati italiani siano di tutto rispetto e che dimostrino come la creatività italiana sia non solo viva e vegeta, ma soprattutto in ripresa.“In termini assoluti non possiamo parlare di grandi numeri, è vero. Ma i risultati ottenuti dall’Italia sono lusinghieri, soprattutto nel campo dei nuovi linguaggi - dichiarano Giuseppe Mastromatteo e Paolo Iabichino, chief creative officer Ogilvy & Mather Italia -. Stiamo iniziando a intravedere un’inversione di tendenza: le aziende cominciano a capire quali vantaggi possa portare, in termini di visibilità, questo cambiamento di rotta. E che i premi fanno bene non solo all’agenzia, ma anche alla credibilità del brand”.
“Penso che in Italia si siano fatti passi da gigante negli ultimi cinque anni, ma c’è ancora un gap con le realtà inglesi, argentine, brasiliane e olandesi - concorda Stefania Siani, direttore creativo esecutivo DlvBbdo -. Quello di cui sono certa è che siamo sulla strada giusta; ne è la prova il moltiplicarsi di premi internazionali vinti da agenzie italiane negli ultimi anni”. “Ci sono esempi di eccellenza che lasciano la porta aperta alla speranza - aggiungono Livio Basoli e Lorenzo Picchiotti, direttori creativi Dude -. Ci sono creativi e responsabili mark-com italiani che lavorano all’estero con successo internazionale. Quindi, anche in questo caso, basta crederci”. E poi, diciamola tutta: non è vero che in Italia le cose vadano così peggio rispetto agli altri Paesi. “Innanzitutto - sostiene Luca Scotto di Carlo, direttore creativo esecutivo e partner M&C Saatchi -, quello che si vede a Cannes è il meglio della pubblicità internazionale, le vere eccellenze. Soprattutto negli ultimi anni, l’Italia ha dimostrato che, a livello di pensieri e creatività pura, non ha niente da invidiare agli altri Paesi. “Noi che abbiamo dodici sedi in quattro continenti, constatiamo continuamente quanto il made in Italy, in tutti i settori, sia quasi divinizzato - aggiungono Andrea De Micheli e Luca Oddo, rispettivamente presidente e amministratore delegato Casta Diva Group -. Piangersi addosso è un’abitudine italiana. Noi, che lavoriamo tutti i giorni all’estero, possiamo garantire che l’Italia è un grande Paese, uno dei più efficienti al mondo, grazie alla nostra creatività, flessibilità, intelligenza interpretativa e know-how tecnico”.
Locale è bello
Un altro aspetto interessante da considerare è quello delle agenzie italiane indipendenti, (a cui NC dedica ogni anno, nel numero di dicembre/gennaio, l’inchiesta ‘Italians do it better’), che, nonostante la forza dei grandi network, conquistano ancora oggi la fiducia di molti clienti di importante rilevanza economica. “Questo anche perché con la proliferazione di mezzi, le campagne contemplano sempre di più attività locali di below the line - è convinta Patrizia Rossi, general manager Scholtz & Friends Roma-, che vengono affidate ad agenzie del posto. Con il risultato che l’agenzia locale non è più solo un ‘adattatore’ di campagne’”. C’è poi anche il discorso legato all’approccio consulenziale che le agenzie italiane possono garantire ai clienti.
“Dove si instaura un buon rapporto consulenziale e strategico l’agenzia italiana può ancora esprimere del valore - commenta Mauro Miglioranzi, amministratore unico Cooee Italia-. La nostra cultura ci porta ad affrontare la complessità con elasticità mentale, il che ci rende dei buoni compagni di viaggio per aziende anche importanti alle prese con la grande stagione di cambiamenti che stiamo vivendo”. “Le agenzie indipendenti sono ingrado, per definizione, di rischiare di più e quindi, spesso, di portare soluzioni più disruptive e innovative - concordano Basoli e Picchiotti (Dude) -. In più, è anche vero che i tempi di reazione e di generazione di un’agenzia leggera sono sempre più ridotti rispetto a quello dei giganti dell’adv, a volte un po’ pesanti e macchinosi”.
L’Italia vista dall’estero
Interessanti, a tal proposito, anche le opinioni di due creativi italiani che lavorano in Francia: Alasdhair MacGregor-Hastie, chief creative officer worldwide Being/Tbwa, e Luca Cinquepalmi, creative director Les Gaulois.
Entrambi hanno un’ottima conoscenza del mercato della pubblicità italiana, in cui hanno lavorato per anni - MacGregor- Hastie come executive creative director di Publicis Italia, Cinquepalmi come direttore creativo Euro Rscg -, ma oggi si confrontano quotidianamente con altri attori e altre dinamiche. “Per i Paesi stranieri l’Italia non esiste - commenta senza mezzi termini Mac-Gregor Hastie -. Questo è il risultato del fatto che in Italia manca la giusta competitività fra le aziende, da cui arrivano gli stimoli alle agenzie per creare progetti davvero distintivi. Piuttosto che attirare le critiche del cliente perché si osa troppo, in Italia si preferisce creare campagne che ‘non diano problemi”. Amir Kassaei? “Ha ragione quando parla di ‘museo della creatività - continua -: l’Italia è un ‘museo’, non un ‘laboratorio’, dove bisogna saper sbagliare. Cosa che in Italia ormai quasi nessuna agenzia osa fare”. Di parere opposto è Luca Cinquepalmi, che nota invece come negli ultimi cinque anni, da quando cioè si è trasferito in Francia, la creatività nostrana sia molto migliorata. “Cinque anni fa il livello era molto più basso, e a Cannes si vinceva ancora meno - spiega -. Oggi, invece, alcune case history italiane, che hanno vinto a Cannes negli ultimi anni, sono diventate dei riferimenti a livello internazionale: per esempio, le campagne di Heineken (Jwt, ndr), così come l’operazione di Fastweb nella metropolitana giapponese (M&C Saatchi, ndr), o quella per CoorDown (Saatchi & Saatchi, ndr). L’Italia, insomma, è riuscita con un colpo di reni e tanta bella creatività a risollevarsi, anche in un momento di crisi”.
Ilaria Myr
Tuttavia, negli ultimi cinque anni sempre più creativi italiani hanno raggiunto risultati importanti: ad esempio, nel 2013 l’Adce (Art Directors Club Europe), di cui Kassaei è presidente, ha assegnato il Grand Prix proprio a un progetto italiano, ovvero ‘Integration Day’ di Saatchi & Saatchi Milano per CoorDown Onlus. “L’importante è che i creativi italiani non cerchino di imitare i colleghi stranieri - continuava Kassaei -, ma che facciano adv in un’ ‘Italian way’. Perché voi avete qualcosa che nessun altro Paese ha. Dovete solo focalizzarvi su questo plus”. Così diceva Kassaei nel 2014, e così la pensano ancora alcuni creativi italiani, che imputano ai clienti una buona parte di responsabilità nella qualità della comunicazione.
“È la domanda a fissare gli standard è convinto Marco Carnevale, creative partner e presidente Yes I Am-. Molte agenzie italiane sono perfettamente in grado di ideare progetti originali. Il problema è che non sono messe nelle condizioni di farlo, e a domande banali dei clienti rispondono con soluzioni scontate”. Ma anche le agenzie hanno le loro mancanze. Ne è certo Lorenzo Marini, fondatore Lorenzo Marini Group: “Nelle multinazionali della comunicazione, i creativi in Italia sono stati tenuti sempre ben lontani dalla realtà dei clienti, lasciati nel recinto della creatività senza mai essere esposti alla parte ‘meno nobile’: gli investimenti, il mercato, la distribuzione e i media. Da qui generazioni di creativi interessati solo alla ‘bellezza’. Un approccio visto dai clienti come superficiale”. E poi c’è un problema prettamente italiano di serietà nel lavoro, che riguarda l’intero ‘sistema Paese’.
“Quando non si paga una fattura dopo 30 giorni, quando si indicono gare senza compenso fra 10 agenzie, o si millantano servizi e competenze che non si hanno, come potrebbe esserci serietà? - si chiedono Enrico Chiarugi e Daniele Freuli, partner e direttori creativi Wrong Advertising-. Quello della serietà è un problema culturale e sociale molto ampio, che nel nostro settore si fa sentire ancora di più in quanto trattiamo la materia più rilevante e impalpabile: le idee”.
Adagio con brio
Non tutti, però, condividono il punto di vista negativo nei confronti dell’advertising italiano. Molti dei creativi sostengono infatti che gli ultimi risultati italiani siano di tutto rispetto e che dimostrino come la creatività italiana sia non solo viva e vegeta, ma soprattutto in ripresa.“In termini assoluti non possiamo parlare di grandi numeri, è vero. Ma i risultati ottenuti dall’Italia sono lusinghieri, soprattutto nel campo dei nuovi linguaggi - dichiarano Giuseppe Mastromatteo e Paolo Iabichino, chief creative officer Ogilvy & Mather Italia -. Stiamo iniziando a intravedere un’inversione di tendenza: le aziende cominciano a capire quali vantaggi possa portare, in termini di visibilità, questo cambiamento di rotta. E che i premi fanno bene non solo all’agenzia, ma anche alla credibilità del brand”.
“Penso che in Italia si siano fatti passi da gigante negli ultimi cinque anni, ma c’è ancora un gap con le realtà inglesi, argentine, brasiliane e olandesi - concorda Stefania Siani, direttore creativo esecutivo DlvBbdo -. Quello di cui sono certa è che siamo sulla strada giusta; ne è la prova il moltiplicarsi di premi internazionali vinti da agenzie italiane negli ultimi anni”. “Ci sono esempi di eccellenza che lasciano la porta aperta alla speranza - aggiungono Livio Basoli e Lorenzo Picchiotti, direttori creativi Dude -. Ci sono creativi e responsabili mark-com italiani che lavorano all’estero con successo internazionale. Quindi, anche in questo caso, basta crederci”. E poi, diciamola tutta: non è vero che in Italia le cose vadano così peggio rispetto agli altri Paesi. “Innanzitutto - sostiene Luca Scotto di Carlo, direttore creativo esecutivo e partner M&C Saatchi -, quello che si vede a Cannes è il meglio della pubblicità internazionale, le vere eccellenze. Soprattutto negli ultimi anni, l’Italia ha dimostrato che, a livello di pensieri e creatività pura, non ha niente da invidiare agli altri Paesi. “Noi che abbiamo dodici sedi in quattro continenti, constatiamo continuamente quanto il made in Italy, in tutti i settori, sia quasi divinizzato - aggiungono Andrea De Micheli e Luca Oddo, rispettivamente presidente e amministratore delegato Casta Diva Group -. Piangersi addosso è un’abitudine italiana. Noi, che lavoriamo tutti i giorni all’estero, possiamo garantire che l’Italia è un grande Paese, uno dei più efficienti al mondo, grazie alla nostra creatività, flessibilità, intelligenza interpretativa e know-how tecnico”.
Locale è bello
Un altro aspetto interessante da considerare è quello delle agenzie italiane indipendenti, (a cui NC dedica ogni anno, nel numero di dicembre/gennaio, l’inchiesta ‘Italians do it better’), che, nonostante la forza dei grandi network, conquistano ancora oggi la fiducia di molti clienti di importante rilevanza economica. “Questo anche perché con la proliferazione di mezzi, le campagne contemplano sempre di più attività locali di below the line - è convinta Patrizia Rossi, general manager Scholtz & Friends Roma-, che vengono affidate ad agenzie del posto. Con il risultato che l’agenzia locale non è più solo un ‘adattatore’ di campagne’”. C’è poi anche il discorso legato all’approccio consulenziale che le agenzie italiane possono garantire ai clienti.
“Dove si instaura un buon rapporto consulenziale e strategico l’agenzia italiana può ancora esprimere del valore - commenta Mauro Miglioranzi, amministratore unico Cooee Italia-. La nostra cultura ci porta ad affrontare la complessità con elasticità mentale, il che ci rende dei buoni compagni di viaggio per aziende anche importanti alle prese con la grande stagione di cambiamenti che stiamo vivendo”. “Le agenzie indipendenti sono ingrado, per definizione, di rischiare di più e quindi, spesso, di portare soluzioni più disruptive e innovative - concordano Basoli e Picchiotti (Dude) -. In più, è anche vero che i tempi di reazione e di generazione di un’agenzia leggera sono sempre più ridotti rispetto a quello dei giganti dell’adv, a volte un po’ pesanti e macchinosi”.
L’Italia vista dall’estero
Interessanti, a tal proposito, anche le opinioni di due creativi italiani che lavorano in Francia: Alasdhair MacGregor-Hastie, chief creative officer worldwide Being/Tbwa, e Luca Cinquepalmi, creative director Les Gaulois.
Entrambi hanno un’ottima conoscenza del mercato della pubblicità italiana, in cui hanno lavorato per anni - MacGregor- Hastie come executive creative director di Publicis Italia, Cinquepalmi come direttore creativo Euro Rscg -, ma oggi si confrontano quotidianamente con altri attori e altre dinamiche. “Per i Paesi stranieri l’Italia non esiste - commenta senza mezzi termini Mac-Gregor Hastie -. Questo è il risultato del fatto che in Italia manca la giusta competitività fra le aziende, da cui arrivano gli stimoli alle agenzie per creare progetti davvero distintivi. Piuttosto che attirare le critiche del cliente perché si osa troppo, in Italia si preferisce creare campagne che ‘non diano problemi”. Amir Kassaei? “Ha ragione quando parla di ‘museo della creatività - continua -: l’Italia è un ‘museo’, non un ‘laboratorio’, dove bisogna saper sbagliare. Cosa che in Italia ormai quasi nessuna agenzia osa fare”. Di parere opposto è Luca Cinquepalmi, che nota invece come negli ultimi cinque anni, da quando cioè si è trasferito in Francia, la creatività nostrana sia molto migliorata. “Cinque anni fa il livello era molto più basso, e a Cannes si vinceva ancora meno - spiega -. Oggi, invece, alcune case history italiane, che hanno vinto a Cannes negli ultimi anni, sono diventate dei riferimenti a livello internazionale: per esempio, le campagne di Heineken (Jwt, ndr), così come l’operazione di Fastweb nella metropolitana giapponese (M&C Saatchi, ndr), o quella per CoorDown (Saatchi & Saatchi, ndr). L’Italia, insomma, è riuscita con un colpo di reni e tanta bella creatività a risollevarsi, anche in un momento di crisi”.
Ilaria Myr