Inchieste
L'eredità di Umberto Eco alla comunicazione. Barbella: "La mia generazione gli deve l’analisi dei linguaggi e lo sdoganamento dell’attività pubblicitaria, considerata immeritevole di attenzione, studio, rispetto"
"Credo che ogni scritto di Eco, compresi i suoi articoli sull’Espresso e altrove, abbia contribuito a formare lo stile e la coscienza dei comunicatori più attenti. Eco ci ha raccontato, per oltre mezzo secolo, i mutamenti che hanno prodotto la comunicazione del nostro tempo. “Opera aperta” è uno dei tanti suoi libri che mi hanno sedotto, perché mi ha spinto a leggere con occhi diversi un romanzo, un’opera d’arte, persino una campagna pubblicitaria" ha commentato Barbella ad ADVexpress nell'ambito dell'inchiesta avviata tra i princopali professionisti della comunicazione per conoscere l'eredità del noto intellettuale alla nostra industry.
Dopo il contributo di Bruno Bertelli (Publicis), Agostino Toscana (Saatchi&Saatchi) e Stefania Siani (DLV BBDO), prosegue con la voce di Pasquale Barbella l'inchiesta avviata a ADVexpress tra i principali professionisti della comunicazione per conoscere quale eredità ha lasciato Umberto Eco, recentemente scomparso, al mondo della comunicazione.
"La mia generazione deve a Eco moltissimo: l’analisi dei linguaggi, soprattutto, e lo sdoganamento di un’attività, quella dei pubblicitari, considerata immeritevole di attenzione, studio, rispetto" dichiara Barbella.
Parlando delle opere che più gli hanno fornito spunti di riflessione per la sua attività di comunicatore, Barbella spiega: "Credo che “Apocalittici e integrati” sia stato un testo fondamentale per comprendere e riorganizzare - in modo aperto, democratico, privo di pregiudizi - le varie espressioni dell’industria culturale, e per mettere in discussione una serie di cliché sulle contrapposizioni tradizionali fra “cultura alta” e “cultura bassa”. Eco colse al volo, elaborandole e divulgandole tempestivamente, le correnti di cambiamento che anticipavano il Sessantotto - si pensi alla pop art, per esempio, o allo smascheramento dei “trucchi” retorici tipici della propaganda politica e del mondo dei mass media. Credo che ogni scritto di Eco, compresi i suoi articoli sull’Espresso e altrove, abbia contribuito a formare lo stile e la coscienza dei comunicatori più attenti. Eco ci ha raccontato, per oltre mezzo secolo, i mutamenti che hanno prodotto la comunicazione del nostro tempo. “Opera aperta” è uno dei tanti suoi libri che mi hanno sedotto, perché mi ha spinto a leggere con occhi diversi un romanzo, un’opera d’arte, persino una campagna pubblicitaria".
Eco, sempre controcorrente, ha espresso posizioni critiche riguardo alla comunicazione digitale e ai social media. A Torino, nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale, a giugno 2015, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”, parlando dei social network, aveva dichiarato “danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. Definendoli in occasioni successive anche ‘strumenti di sorveglianza’. Uno spirito forse troppo critico o il pensiero di chi riesce a vedere le cose con un maggiore distacco critico?
"So che per queste posizioni polemiche Eco si è giocato la simpatia della digital generation, e me ne dispiace, perché i giovani avrebbero molto da imparare da lui anche senza dover condividere per forza la sua avversione per Twitter o Facebook. Ciò che è importante non è schierarsi pro o contro la tecnologia digitale e i suoi derivati, ma acquisire un metodo per non subirne passivamente
le proposte e i rituali. Tenga inoltre presente che i personaggi pubblici sono spesso bersaglio di attacchi ingiuriosi sui social network: Eco non è stato di certo l’unica celebrità a sentirsene offesa".
In occasione del Festival della Comunicazione tenutosi lo scorso settembre a Camogli, Eco aveva affermato che comunicare significa attivare nella mente di qualcuno qualcosa che c’è nella nostra mente, il trasporto di un’idea da un emittente a uno o più destinatari conosciuti. Oggi tutto questo ha ancora senso, soprattutto in pubblicità?
"Più senso che mai. Eco ha semplicemente descritto la natura e la materia prima del cosiddetto “insight”, il nucleo tematico che rende possibile un rapporto empatico fra chi confeziona un messaggio e chi lo riceve".
Esiste qualcuno, a livello teorico, che possa in un certo senso raccogliere il testimone di Eco in quanto osservatore attento dell’evoluzione dei media e della comunicazione?
"Il pensiero di Eco ha ispirato e continua a ispirare diversi operatori della comunicazione. Lo ritrovo qua e là ogni volta che leggo un saggio di Gianrico Carofiglio sulla scrittura civile, il blog di Giovanna Cosenza, persino “L’amaca” di Michele Serra... Non so se nel mondo accademico ci siano eredi o continuatori di Eco altrettanto eclettici, è possibile; ma già mi rassicura il fatto che il suo insegnamento non sia andato perduto, e che la sua particolare sensibilità critica si sia spalmata fra altri.
Ricordiamo che Pasquale Barbella ha parlato di “Apocalittici e integrati” nel suo blog
"La mia generazione deve a Eco moltissimo: l’analisi dei linguaggi, soprattutto, e lo sdoganamento di un’attività, quella dei pubblicitari, considerata immeritevole di attenzione, studio, rispetto" dichiara Barbella.
Parlando delle opere che più gli hanno fornito spunti di riflessione per la sua attività di comunicatore, Barbella spiega: "Credo che “Apocalittici e integrati” sia stato un testo fondamentale per comprendere e riorganizzare - in modo aperto, democratico, privo di pregiudizi - le varie espressioni dell’industria culturale, e per mettere in discussione una serie di cliché sulle contrapposizioni tradizionali fra “cultura alta” e “cultura bassa”. Eco colse al volo, elaborandole e divulgandole tempestivamente, le correnti di cambiamento che anticipavano il Sessantotto - si pensi alla pop art, per esempio, o allo smascheramento dei “trucchi” retorici tipici della propaganda politica e del mondo dei mass media. Credo che ogni scritto di Eco, compresi i suoi articoli sull’Espresso e altrove, abbia contribuito a formare lo stile e la coscienza dei comunicatori più attenti. Eco ci ha raccontato, per oltre mezzo secolo, i mutamenti che hanno prodotto la comunicazione del nostro tempo. “Opera aperta” è uno dei tanti suoi libri che mi hanno sedotto, perché mi ha spinto a leggere con occhi diversi un romanzo, un’opera d’arte, persino una campagna pubblicitaria".
Eco, sempre controcorrente, ha espresso posizioni critiche riguardo alla comunicazione digitale e ai social media. A Torino, nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale, a giugno 2015, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”, parlando dei social network, aveva dichiarato “danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”. Definendoli in occasioni successive anche ‘strumenti di sorveglianza’. Uno spirito forse troppo critico o il pensiero di chi riesce a vedere le cose con un maggiore distacco critico?
"So che per queste posizioni polemiche Eco si è giocato la simpatia della digital generation, e me ne dispiace, perché i giovani avrebbero molto da imparare da lui anche senza dover condividere per forza la sua avversione per Twitter o Facebook. Ciò che è importante non è schierarsi pro o contro la tecnologia digitale e i suoi derivati, ma acquisire un metodo per non subirne passivamente
le proposte e i rituali. Tenga inoltre presente che i personaggi pubblici sono spesso bersaglio di attacchi ingiuriosi sui social network: Eco non è stato di certo l’unica celebrità a sentirsene offesa".
In occasione del Festival della Comunicazione tenutosi lo scorso settembre a Camogli, Eco aveva affermato che comunicare significa attivare nella mente di qualcuno qualcosa che c’è nella nostra mente, il trasporto di un’idea da un emittente a uno o più destinatari conosciuti. Oggi tutto questo ha ancora senso, soprattutto in pubblicità?
"Più senso che mai. Eco ha semplicemente descritto la natura e la materia prima del cosiddetto “insight”, il nucleo tematico che rende possibile un rapporto empatico fra chi confeziona un messaggio e chi lo riceve".
Esiste qualcuno, a livello teorico, che possa in un certo senso raccogliere il testimone di Eco in quanto osservatore attento dell’evoluzione dei media e della comunicazione?
"Il pensiero di Eco ha ispirato e continua a ispirare diversi operatori della comunicazione. Lo ritrovo qua e là ogni volta che leggo un saggio di Gianrico Carofiglio sulla scrittura civile, il blog di Giovanna Cosenza, persino “L’amaca” di Michele Serra... Non so se nel mondo accademico ci siano eredi o continuatori di Eco altrettanto eclettici, è possibile; ma già mi rassicura il fatto che il suo insegnamento non sia andato perduto, e che la sua particolare sensibilità critica si sia spalmata fra altri.
Ricordiamo che Pasquale Barbella ha parlato di “Apocalittici e integrati” nel suo blog