Inchieste
Performance marketing, quando il ritorno è tangibile
È un ambito della comunicazione digitale che si è notevolmente ampliato, proprio per la capacità di fornire dati precisi, misurati tramite apposite tecnologie, sulle performance della singola operazione di comunicazione. Ma anche per la possibilità che offre agli investitori di pagare l’agenzia a obiettivi raggiunti: il tutto senza costi di set up o attivazione. Pubblichiamo il primo articolo dello scenario relativo all'inchiesta 'performance marketing' pubblicata sulla rivista NC - Nuova Comunicazione.
Sviluppare progetti di comunicazione digitale sempre più orientati al Roi, al ritorno sull’investimento, con risultati a un costo prefissato, è diventata ormai pratica diffusa per gli investitori online. Le soluzioni utilizzabili sono oggi numerose e diverse, ma sono tutte accomunate dal fatto di essere facce di un’unica realtà: il performance marketing. Un ambito, questo, molto ampio e complesso da analizzare, di cui spesso si fatica a capire l’area di riferimento e i suoi confini, facendovi rientrare tutto ciò che appartiene alla categoria del ‘misurabile’. Vi sono però delle caratteristiche, così come alcuni utilizzi, che identificano come ‘a performance’ alcune soluzioni di comunicazione digitale rispetto ad altre.Vediamo quali.
IDENTIKIT DEL PERFORMANCE MARKETING
Il performance marketing racchiude le tecniche e gli strumenti del marketing digitale focalizzati su una performance, cioè un risultato concreto e misurabile che dia un immediato Roi. Stando alla definizione che ne dà lo Iab, “il performance marketing si distingue dal tradizionale display advertising per il fatto che produce un risultato (outcome)”, orientato alla generazione di lead o di sale a seconda degli obiettivi.
In particolare, secondo il Performance Marketing Committee dello Iab a livello internazionale, i requisiti di una campagna sono essenzialmente quattro. Il primo è che il suo obiettivo deve essere quello di misurare l’azione che l’iniziativa di comunicazione digitale scatena nel consumatore (e non soltanto se è stata visualizzata o meno la pagina o l’impression).
Il secondo aspetto, molto legato al primo, riguarda la misurazione della causa e dell’effetto fra campagna e consumatore, che deve essere sempre facilmente ottenibile. Una volta raggiunta la misurazione, poi, l’investitore può ottimizzare il proprio investimento sulla base di un monitoraggio in real time: parliamo della cosiddetta Performance Optimization.
Le tecnologie e le piattaforme dati permettono infatti all’investitore, così come all’agenzia, di ottimizzare la campagna quasi in tempo reale, raccogliendo dati sull’efficacia dell’azione. Ciò significa che il committente può modificare il proprio investimento nel corso dell’operazione per aumentarne la performance.
Infine, il pagamento da parte dell’investitore avviene in base all’effettiva azione compiuta dall’utente, nell’ottica del pay-for-performance. L’investitore, quindi non solo ha la possibilità di misurare la connessione fra la pubblicità e l’azione voluta, così come di ottimizzare la campagna in base a questo, ma può anche pagare l’agenzia solo quando la performance auspicata è stata raggiunta: il tutto senza costi di set up o attivazione. In questo modo, si riduce il rischio dell’advertiser, dal momento che il costo per la comunicazione è allineato ai risultati desiderati.
Un’innovazione, dunque, nel mondo della comunicazione digitale, che vede affermarsi un nuovo tipo di relazione fra il committente e il comunicatore. Non solo. Evolve anche il ruolo dell’agenzia, che deve essere in grado di interpretare i dati numerici e attivare in maniera proattiva tutti i fattori di successo. Su questo rifletteremo nelle prossime pagine.
TIPOLOGIE PER TUTTI I GUSTI
Le pubblicità online a performance sono classificate in base alle diverse tipologie di risultati concordati e si distinguono in:
• Campagne cost per lead (CPL), basate sulle richieste di informazioni/preventivi ottenute;
• Campagne cost per action (CPA), basate sulle azioni generate dall’utente (per esempio, l’iscrizione a un concorso);
Vi è anche chi - come l’agenzia specializzata WebPerformance nella sua ‘Guida al Web Performance Marketing’ -, vi fa rientrare le campagne Cost per sale (CPS), basate sulla vendita generata da un annuncio online o da un link di affiliazione, e quelle Cost per download (CPD), basate sul numero di download effettuati, di un software o di una app. Mentre il Pay per click (PPC) e il Cost-per-mille (CPM), che rappresentano certamente una forma di misurazione della performance, solitamente vengono fatte rientrare nell’ambito del display advertising, in quanto più focalizzate nel creare awareness e valore per la marca.
Sul fronte degli strumenti, il performance marketing abbraccia praticamente l’intero arco dell’online marketing, facendo leva sia su mezzi 100% performance oriented che su altri più tradizionali, dotati però di peculiari tecniche a performance. In particolare, tra i canali digitali che sfruttano dinamiche a performance spiccano l’e-mail marketing e il search engine marketing, ma anche il mobile marketing, il social media marketing, e il display adv and retargeting.
“Possiamo raggruppare gli strumenti del performance marketing in due ambiti - specifica Michele Marzan, regional director Southern Europe Zanox -: il primo è quello dell’affiliate network, che include una serie di canali trasversali come il conversionbooster, il performance display (RTB), l’email marketing, il mobile marketing, i coupon, ecc. Il secondo racchiude, invece, strumenti più verticali che fanno riferimento ai big player del mercato e a trend emergenti, e sono la search, il retargeting e il programmatic”.
In particolare, quest’ultimo rappresenta un ambito in grande fermento, che secondo quanto emerso allo Iab Forum 2014, ha registrato nell’ultimo anno tassi di crescita davvero interessanti, e continuerà questa ascesa nel prossimo futuro.
LO SCENARIO IN ITALIA
Vista la complessità del tema, dare dei dati quantitativi sull’andamento del performance marketing non è cosa semplice: gli ultimi a oggi disponibili per il mercato italiano, elaborati da Nielsen e presentati allo Iab Seminar del marzo 2013, arrivano a coprire il 2012. Per quelli relativi al 2014, invece, si dovrà aspettare la fine di quest’anno, quando il Politecnico di Milano, insieme allo Iab, avranno ridefinito i criteri metodologici sui quali basare la rilevazione.
Già nel 2013, comunque, quello che emergeva dalla ricerca Nielsen era un mercato globale in crescita, che valeva in UK il 7-9% del totale degli investimenti in online adv, in Germania l’8%, in Francia addirittura il 14%, e che, nel nostro Paese, si aggirava intorno al 6%.
“Il performance marketing è stato introdotto in Italia intorno al 2000 - spiega Marzan -. Oggi, dopo 15 anni, rappresenta un sistema di business molto dinamico che si rivela essere più che soddisfacente per i player che operano nel mercato dell’e-commerce e nel settore retail e quindi per coloro che fanno dell’utilizzo di internet il motore del proprio business. Ma ha una buona adozione anche da parte di quei brand che nascono fuori dalla rete e che, dopo aver preso coscienza delle potenzialità dell’online marketing, hanno scelto di avviare il loro business sulla rete”.
Dal punto di vista dei publisher, però, il performance marketing in Italia ha avuto un’evoluzione con una maturità inferiore rispetto agli standard europei, considerando il fatto che il mercato ha sposato solo da un paio di anni le logiche del performance al fine di ottenere revenue maggiori rispetto alla semplice vendita di spazi pubblicitari o al Cpm.
“I clienti, invece, si dimostrano maggiormente ricettivi e disposti a sperimentare tutte le opportunità di business online - continua Marzan -. Questo è dovuto sostanzialmente a un vantaggio di base che gli inserzionisti hanno, ovvero al fatto che il performance marketing è l’unico modello di adv in cui il Roi viene misurato in maniera estremamente precisa”.
Per quanto riguarda i settori merceologici che maggiormente utilizzano il PM, vi sono quelli per cui le azioni di ‘lead’ (richieste di informazioni/preventivi ottenute) o di ‘sale’ (vendita) sono particolarmente strategiche: parliamo quindi di finance, automotive, entertainment, telco&services, retail e travel.
Ilaria Myr
IDENTIKIT DEL PERFORMANCE MARKETING
Il performance marketing racchiude le tecniche e gli strumenti del marketing digitale focalizzati su una performance, cioè un risultato concreto e misurabile che dia un immediato Roi. Stando alla definizione che ne dà lo Iab, “il performance marketing si distingue dal tradizionale display advertising per il fatto che produce un risultato (outcome)”, orientato alla generazione di lead o di sale a seconda degli obiettivi.
In particolare, secondo il Performance Marketing Committee dello Iab a livello internazionale, i requisiti di una campagna sono essenzialmente quattro. Il primo è che il suo obiettivo deve essere quello di misurare l’azione che l’iniziativa di comunicazione digitale scatena nel consumatore (e non soltanto se è stata visualizzata o meno la pagina o l’impression).
Il secondo aspetto, molto legato al primo, riguarda la misurazione della causa e dell’effetto fra campagna e consumatore, che deve essere sempre facilmente ottenibile. Una volta raggiunta la misurazione, poi, l’investitore può ottimizzare il proprio investimento sulla base di un monitoraggio in real time: parliamo della cosiddetta Performance Optimization.
Le tecnologie e le piattaforme dati permettono infatti all’investitore, così come all’agenzia, di ottimizzare la campagna quasi in tempo reale, raccogliendo dati sull’efficacia dell’azione. Ciò significa che il committente può modificare il proprio investimento nel corso dell’operazione per aumentarne la performance.
Infine, il pagamento da parte dell’investitore avviene in base all’effettiva azione compiuta dall’utente, nell’ottica del pay-for-performance. L’investitore, quindi non solo ha la possibilità di misurare la connessione fra la pubblicità e l’azione voluta, così come di ottimizzare la campagna in base a questo, ma può anche pagare l’agenzia solo quando la performance auspicata è stata raggiunta: il tutto senza costi di set up o attivazione. In questo modo, si riduce il rischio dell’advertiser, dal momento che il costo per la comunicazione è allineato ai risultati desiderati.
Un’innovazione, dunque, nel mondo della comunicazione digitale, che vede affermarsi un nuovo tipo di relazione fra il committente e il comunicatore. Non solo. Evolve anche il ruolo dell’agenzia, che deve essere in grado di interpretare i dati numerici e attivare in maniera proattiva tutti i fattori di successo. Su questo rifletteremo nelle prossime pagine.
TIPOLOGIE PER TUTTI I GUSTI
Le pubblicità online a performance sono classificate in base alle diverse tipologie di risultati concordati e si distinguono in:
• Campagne cost per lead (CPL), basate sulle richieste di informazioni/preventivi ottenute;
• Campagne cost per action (CPA), basate sulle azioni generate dall’utente (per esempio, l’iscrizione a un concorso);
Vi è anche chi - come l’agenzia specializzata WebPerformance nella sua ‘Guida al Web Performance Marketing’ -, vi fa rientrare le campagne Cost per sale (CPS), basate sulla vendita generata da un annuncio online o da un link di affiliazione, e quelle Cost per download (CPD), basate sul numero di download effettuati, di un software o di una app. Mentre il Pay per click (PPC) e il Cost-per-mille (CPM), che rappresentano certamente una forma di misurazione della performance, solitamente vengono fatte rientrare nell’ambito del display advertising, in quanto più focalizzate nel creare awareness e valore per la marca.
Sul fronte degli strumenti, il performance marketing abbraccia praticamente l’intero arco dell’online marketing, facendo leva sia su mezzi 100% performance oriented che su altri più tradizionali, dotati però di peculiari tecniche a performance. In particolare, tra i canali digitali che sfruttano dinamiche a performance spiccano l’e-mail marketing e il search engine marketing, ma anche il mobile marketing, il social media marketing, e il display adv and retargeting.
“Possiamo raggruppare gli strumenti del performance marketing in due ambiti - specifica Michele Marzan, regional director Southern Europe Zanox -: il primo è quello dell’affiliate network, che include una serie di canali trasversali come il conversionbooster, il performance display (RTB), l’email marketing, il mobile marketing, i coupon, ecc. Il secondo racchiude, invece, strumenti più verticali che fanno riferimento ai big player del mercato e a trend emergenti, e sono la search, il retargeting e il programmatic”.
In particolare, quest’ultimo rappresenta un ambito in grande fermento, che secondo quanto emerso allo Iab Forum 2014, ha registrato nell’ultimo anno tassi di crescita davvero interessanti, e continuerà questa ascesa nel prossimo futuro.
LO SCENARIO IN ITALIA
Vista la complessità del tema, dare dei dati quantitativi sull’andamento del performance marketing non è cosa semplice: gli ultimi a oggi disponibili per il mercato italiano, elaborati da Nielsen e presentati allo Iab Seminar del marzo 2013, arrivano a coprire il 2012. Per quelli relativi al 2014, invece, si dovrà aspettare la fine di quest’anno, quando il Politecnico di Milano, insieme allo Iab, avranno ridefinito i criteri metodologici sui quali basare la rilevazione.
Già nel 2013, comunque, quello che emergeva dalla ricerca Nielsen era un mercato globale in crescita, che valeva in UK il 7-9% del totale degli investimenti in online adv, in Germania l’8%, in Francia addirittura il 14%, e che, nel nostro Paese, si aggirava intorno al 6%.
“Il performance marketing è stato introdotto in Italia intorno al 2000 - spiega Marzan -. Oggi, dopo 15 anni, rappresenta un sistema di business molto dinamico che si rivela essere più che soddisfacente per i player che operano nel mercato dell’e-commerce e nel settore retail e quindi per coloro che fanno dell’utilizzo di internet il motore del proprio business. Ma ha una buona adozione anche da parte di quei brand che nascono fuori dalla rete e che, dopo aver preso coscienza delle potenzialità dell’online marketing, hanno scelto di avviare il loro business sulla rete”.
Dal punto di vista dei publisher, però, il performance marketing in Italia ha avuto un’evoluzione con una maturità inferiore rispetto agli standard europei, considerando il fatto che il mercato ha sposato solo da un paio di anni le logiche del performance al fine di ottenere revenue maggiori rispetto alla semplice vendita di spazi pubblicitari o al Cpm.
“I clienti, invece, si dimostrano maggiormente ricettivi e disposti a sperimentare tutte le opportunità di business online - continua Marzan -. Questo è dovuto sostanzialmente a un vantaggio di base che gli inserzionisti hanno, ovvero al fatto che il performance marketing è l’unico modello di adv in cui il Roi viene misurato in maniera estremamente precisa”.
Per quanto riguarda i settori merceologici che maggiormente utilizzano il PM, vi sono quelli per cui le azioni di ‘lead’ (richieste di informazioni/preventivi ottenute) o di ‘sale’ (vendita) sono particolarmente strategiche: parliamo quindi di finance, automotive, entertainment, telco&services, retail e travel.
Ilaria Myr