Inchieste

Una, nessuna, centomila creatività

Liquida e integrata, sono queste le accezioni principali della nuova comunicazione di oggi, in cui la creatività viene intesa in modo molto più ampio rispetto al passato. Del resto, basta osservare come è cambiato negli anni il Festival di Cannes, dove le categorie più seguite sono quelle più nuove e innovative. E dove da quest'anno c'è spazio anche per i 'Big Data': un segno dei tempi o una necessità? In occasione del Festival di Cannes attualmente in corso, pubblichiamo l'inchiesta tratta da NC -Nuova Comunicazione dedicata al confronto tra creatività e creatività internazionale.
 
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Nuovi mezzi, tecnologie digitali sempre più avanzate, campagne non più mono-media, ma ormai integrate ‘per default’, che rispondono alla richiesta non più solo di una singola campagna, ma di un’ampia una visione strategica: questi gli ingredienti immancabili del panorama comunicativo di oggi, che fanno parlare i più di vera e propria ‘rivoluzione’della pubblicità. Del resto, basta guardare lo stesso Festival della creatività Internazionale di Cannes per capire quanto la kermesse di oggi sia profondamente diversa da quella che era alla sua nascita. Da Festival della pubblicità televisiva, per la quale era nato sessantadue anni fa, da tempo si è trasformato in Festival della comunicazione a tutto tondo, e della tecnologia digitale a essa applicata. Tanto che la proiezione degli spot della categoria Film, che nel passato catalizzava l’attenzione dei presenti, oggi attira gli appassionati in alcune piccole sale dell’ultimo piano del Palais. Mentre è nei primi tre giorni del Festival, in cui si decretano i vincitori delle categorie più innovative, che si respira il vero fermento creativo. 

Alla luce di tutto ciò, prima ancora di inoltrarci a parlare di creatività italiana e internazionale, sorge spontanea una domanda:
che senso ha parlare oggi di ‘creatività’? Che cosa si intende con questo termine? E soprattutto, qual è la mission dell’agenzia che si definisce ‘creativa’? 

“Nel passato quella creativa era una divisione specifica dell’agenzia, con confini molto netti - spiega Luca Scotto di Carlo, direttore creativo esecutivo e partner M&C Saatchi -. Oggi, invece, inevitabilmente la parola ‘creatività’ ha assunto un’accezionemolto più ampia e ‘liquida’, coinvolgendo di fatto tutta l’agenzia. Il creativo deve essere in grado di anticipare le richieste del cliente già in fase di brief”. “Oggi, più che mai, c’è bisogno di una maggiore capacità di creare connessioni fra idee e mezzi e la creatività è proprio questo aggiungono Enrico Chiarugi e Daniele Freuli, partner e direttori creativi Wrong Advertising -. Ciò significa che, oltre ai tecnici iperspecializzati (del mondo web, per esempio, ndr), oggi servono sempre più persone capaci di avere una visione ampia dei problemi: ‘creativi’ nuovi, non necessariamente, o non solo, copywriter e art director”. Il contagio fra le varie discipline e il dialogo continuo fra le diverse professionalità diventano dunque elementi imprescindibili dell’agenzia creativa, in cui non sono più applicabili le logiche organizzative di qualche decennio fa. 

“Proprio per questo motivo - commentano Giuseppe Mastromatteo e Paolo Iabichino, chief creative office Ogilvy & Mather Italia - il nuovo business model dell’agenzia deve essere aperto alla contaminazione, coinvolgere figure con competenze diverse: non solo copywriter, art e planner, ma anche user experience designer, community manager, project manager, strategist, ecc.”. Certo, a monte ci deve essere un’idea creativa forte e impattante perché, per dirla con Livio Basoli e Lorenzo Picchiotti, direttori creativi Dude: “al centro di una campagna memorabile capace di lasciare il segno nella vita di un brand c’è sempre un’idea innovativamescolata a un’esecuzione impeccabile. E lo stesso discorso vale anche per una strategia di lungo periodo, dove al posto di una singola idea c’è una visione di brand, che non può non essere altrettanto creativa o laterale, e al posto di una singola esecuzione c’è il Dna visivo e di tono di voce del brand”.

“E poi deve coinvolgere i consumatori, ovviamente, avere il loro consenso - precisano Mastromatteo e Iabichino (Ogilvy & Mather Italia) -. Per farlo la campagna deve dire una verità, la verità del brand. Solo se i valori aziendali sono valori condivisibili, il consumatore ne parlerà bene. E diventerà egli stesso portavoce del brand”. Ma l’idea originale da sola non è sufficiente. In un contesto in cui dominano la frammentazione e la proliferazione di mezzi e tecnologie, infatti, instaurare una connessione efficace fra mezzi e idee non è cosa semplice: il rischio di cadere nel conformismo e nella ‘moda del momento’ è sempre in agguato. Ecco quindi che creare una buona creatività, per Marco Carnevale, creative partner e presidente Yes I Am, significa “avere la capacità di sviluppare risonanza e rilevanza, calibrando la tipologia dell’ingaggio a seconda del target. Quello che valeva per l’adv classico quando si parlava di ‘tono di voce’ vale anche per la comunicazione oggi: non si deve sbagliare il linguaggio, altrimenti il risultato è opposto a quello sperato”.


Anche perché se, come capita ormai quasi sempre, la campagna utilizza anche (o solo) i canali digitali la sua efficacia è velocemente verificata. Come infatti spiega Mauro Miglioranzi, amministratore unico Cooee Italia: “Adesso sappiamo tutto, o quasi, di quello che succede alla comunicazione online. La dimensione più nuova, e per me più straordinaria, è quella della viralità. Se una cosa piace se ne parla subito, e questo parlato è misurabile”.  

Creatività e big data: relazione pericolosa?

L’attuale scenario impone però alle agenzie creative di confrontarsi quotidianamente con tecnologie e strumenti nuovi. Fra questi, occupano un ruolo di primo piano i cosiddetti ‘big data’, a cui da quest’anno il Festival di Cannes dedica la nuova categoria dei ‘creative data’. Un segno eloquente, questo, di quanto oggi il discorso dei dati relativi al consumatore stia diventando importante non più solo per gli addetti al marketing, ma anche per i creativi tout court. Fra gli intervistati in questa inchiesta, però, vi sono opinioni opposte su quanto sia corretto avvicinare ambiti diversi come la creatività, da un lato, e dati di marketing, dall’altro. C’è chi ha accolto con entusiasmo questi nuovi stimoli, organizzandosi internamente per lavorare sui dati: è il caso di Ogilvy & Mather Italia, dove le persone di Ogilvy Consulting lavorano a progetti di comunicazione insieme alle altre discipline, portando il proprio contributo nelle diverse fasi di progettazione, realizzazione, ottimizzazione e misurazione.

Mentre Cooee Italia si è affiliata con Interpartners (tra i più importanti network internazionali di agenzie indipendenti) con l’obiettivo di colmare questo gap, nella convinzione che, spiega Miglioranzi, “la possibilità di raggiungere i target con una precisione e una velocità impensabili in passato cambierà, per forza di cose, l’approccio creativo”. Da non sottovalutare, poi l’effetto ‘tranquillizzante’ che i big data possono avere nei confronti del cliente. Come spiegano bene Livio Basoli e Lorenzo Picchiotti (Dude): “possono diventare un’arma importante per dare garanzie e sicurezze a un cliente, addirittura portandolo a prendere rischi più grandi in termini di comunicazione se giustificati dalle informazioni”. Sul fronte opposto, però, c’è chi, come Marco Carnevale (Yes I Am), rifiuta un qualsiasi legame fra creatività e big data. “I big data sono l’antitesi del lavoro creativo. Questa logica va infatti verso una comunicazione invasiva, da ‘grande fratello’, vicina alla logica inquietante dei persuasori occulti della fine degli anni ‘50. Siamo forse tornati a quei livelli?”.

Concordano con questa posizione Andrea De Micheli e Luca Oddo, rispettivamente presidente e ad Casta Diva Group, che ammettono: “Il problema è che dare al target quello che si aspetta ‘azzera’ la creatività del messaggio e la sorpresa che viene suscitata, perché a lungo andare si tenderà a creare pubblicità che a priori sarà sì d’interesse per il target, ma anche prevedibile. La vera creatività invece è quella che produce una comunicazione imprevedibile e quindi eccitante. In Italia, l’utilizzo dei big data è piuttosto recente, le agenzie si stanno attrezzando e pensiamo che a breve saranno competitive a livello internazionale anche su questo aspetto. Tutto sommato ci vuole meno talento a interpretare il big data che a inventare una campagna ‘disruptive’”. In mezzo ai due estremi ci sono quelli che osservano con curiosità il nuovo fenomeno, e che non escludono che esso possa rivelarsi un’opportunità per i comunicatori. È il caso di Patrizia Rossi, general manager Scholtz & Friends Roma, che spiega: “Ci sono senza dubbio delle potenzialità in questi dati, ma finché non si va tutti in una stessa direzione di utilizzo, è difficile capire quanto essi possano essere effettivamente utili. Rimango per ora a guardare”.

Più critico, anche se non meno curioso, è Luca Scotto di Carlo (M&C Saatchi), che constata come l’apertura del Festival di Cannes ai big data - così come alla ‘creative effectiveness’ -, sia un chiaro tentativo di assecondare il bisogno di misurazione e concretezza numerica delle aziende, che al Festival hanno conquistato negli anni una presenza sempre più importante. Basti pensare che questo è il primo anno in cui un presidente di giuria, quella della Creative Effectiveness, è un manager di azienda (Wendy Clark, president of sparkling brands & strategic marketing Coca-Cola North America). “Sicuramente questo è un segnale, ma non bisogna neanche farsi sviare troppo dalle metodologie di ricerca - commenta Scotto di Carlo -. L’agenzia deve avere la capacità di incamerare gli elementi che arrivano dall’esterno e poi rielaborali in un più ampio lavoro creativo”.
Always on In un quadro come quello descritto finora, in cui tecnologie digitali e integrazione di mezzi e competenze sono le parole chiave della nuova comunicazione, l’aggiornamento e la formazione costante diventano un must imprescindibile per le agenzie di comunicazione. Su questo fronte tutti gli intervistati dichiarano, in maniera corale, di essere molto attenti e attivi, organizzando seminari e corsi, favorendo le possibilità di incontro anche internazionali. Come bene sintetizzano Livio Basoli e Lorenzo Picchiotti (Dude): “Per un creativo, l’aggiornamento non è una scelta, ma una necessità: sono persone curiose e l’arricchimento della propria conoscenza creativa è un processo naturale e spontaneo. Poi ci sono ovviamente i corsi, le conferenze, gli abbonamenti, i tool online”.
Il Gruppo Roncaglia, per esempio, “investe costantemente in formazione e aggiornamenti a diversi livelli - spiega il direttore creativo Carla Leveratto -. Per esempio, partecipando al Festival di Cannes, dove si respira creatività a livello internazionale edove ci poniamo l’obiettivo di salire sul palco a ritirare premi. Piuttosto che mandando i nostri creativi ai Summer School di importanti università internazionali per lavorare su brief veri in team multiculturali”. 

Nel caso, poi, delle agenzie di grandi network, il confronto con le altre sedi è continuo. Come testimonia bene Stefania Siani, direttore creativo esecutivo Dlv Bbdo: “Noi abbiamo la fortuna di lavorare in un network molto attento alla formazione e le occasioni di aggiornamento quindi sono continue. La costante crescita della nostra realtà è sicuramente frutto di un binomio vincente: gli strumenti del network con i seminari e i corsi di aggiornamento, insieme alla curiosità e allo studio di ognuno di noi”. A ciò si aggiunga anche la possibilità offerta dal web di essere costantemente informati sulle campagne che vengono sviluppate anche all’altro capo del mondo: un vantaggio dell’epoca moderna, a cui ormai i creativi mai rinuncerebbero. Fondamentale, poi, per tutti, è l’ingresso e la formazione di nuove promesse creative nell’organico.

Un pensiero, questo, ben sintetizzato da Iabichino e Mastromatteo (Ogilvy & Mather Italia): “Crediamo fortemente nell’apporto creativo che i giovani talenti possono dare al nostro gruppo. Talenti che, una volta scovati, ci occupiamo di formare in agenzia. Arricchire la propria conoscenza creativa oggi vuol dire stare al passo con i cambiamenti costanti del mondo della comunicazione, o anticiparli, laddove sia possibile. Prima riusciremo a intercettare le possibili trasformazioni di questa realtà, più saremo in grado di affrontare le sfide di oggi e di domani”. “La caratteristica principale che cerchiamo nei nostri collaboratori è la curiosità in senso positivo - aggiungono Andrea De Micheli e Luca Oddo (Casta Diva Group) -: la ‘sete’ di sapere e la voglia di imparare sempre cose nuove, anche non legate al proprio ruolo nello specifico. La conoscenza ad ampio raggio permette di essere più creativi. Il nostro stile è stato sempre quello di ‘svariare’ un po’ rispetto ai binari tradizionali del nostro business e dei nostri competitor: in questo modo molti nostri collaboratori hanno potuto spaziare in ambiti diversi dalla comunicazione classica e hanno arricchito la loro esperienza creativa”.