Interviste
Brenna apre 'l’open space' della comunicazione
Prosegue il ciclo di interviste di Advexpress con le
principali agenzie creative italiane, per fare il punto, con chi le guida, sui
trend e i cambiamenti in atto per rispondere ai mutamenti in corso nel mercato
della comunicazione e nel mondo dei media. Dopo la voce di Massimo
Costa (Y&R), Giorgio Lodi (Publicis),
Willy Proto (McCann Worldgroup), ora è la volta di
Giorgio Brenna (nella
foto).
E' arrivato in Leo Burnett nel giugno
del 2005, e in più di un anno, il Chairman and Chief Executive Officer di Leo
Burnett Group Italia, ha dato all'agenzia una spinta che le ha consentito, dopo
due annate chiuse a segno meno, un'inversione di tendenza, con un 2006 in
crescita. Un traguardo raggiunto grazie alla conferma di clienti come Fiat,
Rana, Kellogg's, Grana Padano, il gruppo Binda, Pirelli, Indesit, Poste
Italiane, ma anche a new business recenti come Berloni.
Ora, dal suo ufficio milanese in via
Fatebenefratelli 14, dove lo abbiamo incontrato, in un edificio in cui ogni
sala, cominciando dalla reception, è tappezzata di schermi e video su cui
scorrono, in un flusso ininterrotto, le immagini degli spot firmati
dall'agenzia, Brenna spiega ad ADVexpress il modello con cui sta dando una nuova
forma circolare al Gruppo, dove ogni professionalità lavora in sinergia con le
altre, in un sistema integrato, uniforme ed omogeneo, in cui non esistono unit
ma flussi di informazione e scambio di idee. Un meccanismo che fa perno su tre
parole chiave: integrazione, creatività a tutto tondo e risorse umane. E che
giungerà a compimento, secondo gli obiettivi, entro tre anni. Come? La parola
passa all'architetto del Gruppo in cui lavorano, tra Milano, Roma e Torino, 350
'creativi', nei ruoli e nelle funzioni più diverse, sotto la supervisione di un
board nuovo di zecca.
Da quando ha preso il timone dell'agenzia, come è intervenuto sulla sua architettura interna?
Il modello organizzativo che ho in mente è molto particolare, moderno, sofisticato, e soprattutto molto diverso da un organigramma articolato composto da unit che rimandano gerarchicamente le une alle altre. Quando sono arrivato in agenzia non ho trovato un vero e proprio gruppo, ma tante società distaccate. Nell'agenzia che sto modellando ciascun servizio farà capo a specializzazioni, non a unit, perchè intendo integrare le competenze in un vero e proprio sistema. Quindi ci saranno 'specializzazioni' organizzate con specialisti che, dove viene richiesto, lavorano in maniera integrata. Integrazione è la seconda parola chiave dell'agenzia. Certo, non è una grande novità sul mercato, perchè tutti ne parlano. La grande novità sta nel metterla a punto. E' un meccanismo complicato da gestire, ma la sfida consiste in questo. In una struttura di questo tipo, flessibile e circolare, l'informazione è il dato iniziale e deve circolare in un flusso tra le varie professionalità che lavorano su un progetto comune.
Su quali fronti agisce per mettere a punto questo meccanismo interno?
Direi su molteplici fronti: su quello organizzativo, sul rectruiting di talenti specialisti, su quello 'culturale' di training delle persone esistenti, sullo sviluppo di progetti, sul new business, sulla vendita di servizi integrati di comunicazione ai clienti e sulla pianificazione di attività di reporting interno per avere una visione chiara della nostra offerta.
Tra questi, qual è il più importante?
L'area delle risorse umane, la seconda parola chiave dell'agenzia, pervade tutti gli aspetti. Infatti, in un settore di business come questo, in cui si vende un servizio creativo, l'unica risorsa su cui si può contare sono le persone.
Che requisiti richiede a chi lavora in Leo Burnett?
Io voglio gli specialisti in una disciplina, i migliori in quella materia, ma che sappiano lavorare in sinergia per costruire un servizio integrato. I requisiti? Flessibilità, apertura mentale agli stimoli, una filosofia di lavoro che punti all'innovazione, e attenzione alle professionalità del futuro che saranno certamente creative.
Cosa offrite al cliente?
Detto in breve, 'creatività a tutto tondo', cioè non solo advertising, che rimane il core business dell'agenzia, ma creatività di tutti i servizi di marketing integrato. Questo significa che ci occupiamo di creatività sul web, sul database, sul crm, sul direct marketing, sugli eventi, sulle pr, sulle sponsorizzazioni e su tutto quello che riguarda il business comunicazione. A queste si aggiunge la creatività nella consulenza, che considero uno dei punti prioritari. Da quando l'azienda contatta l'agenzia, si comincia con l'analisi del suo piano di business, si individuano le sue potenzialità di mercato, i trend futuri, si incrociano i due fattori e si fanno emergere le possibilità di lancio di nuovi prodotti o di rilancio di prodotti esistenti e le varie ipotesi di strategia di comunicazione. Quindi, il lavoro inizia a monte della comunicazione vera e propria, è un'attività consulenziale pura. Alla base di tutto questo servono le idee. E queste idee sono creative, e appartengono a tutti le 350 persone, tra Milano, Roma e Torino, che lavorano in Leo Burnett, tutti definibili creativi, ciascuno nel suo settore. E' un approccio diverso, che richiede una serie di aperture in tutti i settori, ma tenendo fissi alcuni punti fermi.
Quali?
Innanzittutto la consapevolezza di essere un'agenzia molto italiana. Leo Burnett è considerata un'agenzia internazionale di stampo americano, che si occupa di famose marche internazionali come, per nominarne alcune, P&G, Philip Morris, Kellogg's . Ma è una considerazione superficiale e antiquata, perchè in realtà nel suo portfolio ci sono soprattutto grandi clienti italiani, per molti dei quali, oltre alla comunicazione in Italia, curiamo anche il coordinamento europeo o mondiale.
Qualche esempio?
Il Gruppo Fiat, il cliente Pirelli, Indesit, e ancora Grana Padano, Rana, Poste Italiane, Breil (Gruppo Binda).
L'altro punto fermo?
Le risorse, ovvero le persone, che sto chiamando a raccolta. Il business sta evolvendo a velocità tali che il mondo delle agenzie di comunicazione non riesce a stargli dietro. Io invece pretendo che Leo Burnett gli stia davanti. Dobbiamo recuperare questo gap di velocità e superarlo. Per questo mi serve una chiamata alle armi dei migliori. Al momento sto dando dei rinforzi al mio staff. Entro l'anno in agenzia saremo 350. Dal punto di vista numerico non siamo cresciuti, alcuni sono usciti, altri, un gruppo molto tosto di 20, tra cui io, sono approdati qui. La principale novità è che da qualche mese è nato un board di gestione del gruppo in Italia, composto in parte da alcuni personaggi 'nuovi' per il gruppo Leo Burnett, e altri 'vecchi' del gruppo ma con cariche e metodologie di lavoro diverse.
Passiamoli velocemente in rassegna
Il board che guida il gruppo è composto da Nicola Novellone, ad di Leo Burnett, con una nuova carica di gruppo per la gestione di new business e integrazione. Ci sono Guido Chiovato, nuovo ad Leo Burnett Torino; Marco Caserta, nuovo cfo del Gruppo con deleghe sull'organizzazione; c'è poi Alessandro Magnano, un 'vecchio nome del gruppo', ma nuovo nella carica di ad di Arc. Infine ci sono Enrico Dorizza e Sergio Rodriguez , già da tempo in agenzia, ma alle prese con una nuova sfida, quella di essere direttori creativi di tutte le discipline del Gruppo. Questo gruppo di persone, me incluso, porterà avanti la nostra sfida. Siamo un team molto diversificato per carriere, personalità, modi, tattiche e strategie, e questo rappresenta per me una notevole fonte di ottimismo, perchè tale diversità crea grande valore. Il compito del board è far diventare Leo Burnett un gruppo di comunicazione integrata nell'accezione che ho spiegato.
In quanto tempo pensa di realizzare il progetto?
In un ciclo di tre anni. In questo periodo creerò sinergie tra le sedi spostando da una all'altra le persone in un interscambio culturale e professionale.
Per quest'anno, invece, qual è l'obiettivo?
Nel 2006, rispetto all'anno scorso, abbiamo già raggiunto il primo obiettivo, la crescita. Il Gruppo Leo Burnett Italia infatti, quest'anno, dopo un 2004 e un 2005 chiusi con un segno negativo, avrà un segno +; è già un bel traguardo, raggiunto grazie a una buona miscela di new business e clienti storici.
In tema di mezzi di comunicazione, come vede l'attuale panorama italiano dei media?
Lo vedo da molto tempo in preda ad una veloce evoluzione, ma anche in questo campo l'Italia mostra una pigrizia mentale ormai cronica. Putroppo la mancanza di dinamismo in un settore innovativo e creativo come quello della comunicazione pesa di più che in altre aree. Una della cause di questa 'lentezza' è certamente la classe dirigente che gestisce il mondo della comunicazione, un po' troppo attempata e poco incline all'innovazione. Un po' di colpa va certamente anche alle aziende, che spesso in comunicazione mostrano poco coraggio.
Come è recentemente emerso anche nel roadshow di AssoComunicazione, gli investimenti in comunicazione in Italia crescono, ma sono poco efficaci. A cosa si deve, a suo parere, questa anomalia?
Sicuramente investire in innovazione significa anche correre dei rischi e in Italia, in quasi tutte le categorie, le sfide sono sempre più rare. In fondo, tutte le aziende italiane e mondiali hanno raggiunto il successo correndo dei rischi. Penso ad esempio a Fiat, che per guadagnarsi la posizione che ha adesso sul mercato ha dovuto affrontare grandi sfide; il coraggio, la lungimiranza e l'impegno alla fine le hanno fatto raggiungere un traguardo degno di grande rispetto. Non vorrei vestire i panni del 'sociologo da strapazzo', ma credo che la società italiana ha forse raggiunto un livello tale di benessere e confortevolezza da non volersi più misurare con delle sfide. Lo stesso vale per aziende e creativi: se i clienti non vogliono osare e non chiedono una pubblicità aggressiva, i creativi si arrestano su idee piatte, realizzano campagne poco efficaci e diffondono una pubblicità spenta, che passa inosservata e ovviamente non raggiunge i target giusti.
Leo Burnett 'osa' in termini di creatività?
In generale Leo Burnett a livello mondiale non si spinge molto 'oltre' sul fronte creativo, mentre si è più disinibiti nei singoli Paesi. Sono comunque convinto che Leo Burnett Italia negli ultimi anni abbia osato molto in termini di creatività. Basta pensare alle campagne di Amica Chips con Rocco Siffredi, un'iniziativa che ha scatenato un putiferio sul fronte della disciplina pubblicitaria, ma a livello di business è stato un grande successo. Quando mi hanno proposto il progetto, alcuni mi hanno sconsigliato di presentarlo al cliente. Io ho deciso di osare ed abbiamo fatto centro. Un altro esempio di coraggio è la decisione di Fiat di lanciare la nuova Fiat 500, esattamente 500 giorni prima dell'arrivo sul mercato. Un coraggio da premiare.
A proposito di Fiat, cliente sul quale ha messo al lavoro un team dedicato, cosa c'è in cantiere?
Riprendo una fraseologia che i miei clienti Fiat usano spesso: 'bisogna alzare l'asticella'. Per noi significa fare campagne migliori, più belle, più graffianti. E' questo l'obiettivo che dò ai miei ragazzi a Torino. Credo che da gennaio ad oggi l'asticella sia stata sollevata parecchio e l'obiettivo è giocare sempre più al rialzo, conquistando un record dietro l'altro. Con Fiat stiamo facendo molte campagne. Attualmente stiamo cominciando a lavorare per il lancio di Bravo in programma l'anno prossimo. Altre novità le scopriremo in seguito...
Prima abbiamo citato AssoComunicazione. La domanda è di rito: perchè ha deciso di riportare l'agenzia in associazione?
Sono rientrato in Assocomunicazione dopo l'elezione del nuovo presidente Marco Testa, che conoscono e stimo. La sua nomina alla guida dell'associazione è stata una molla decisiva.
Uno dei fronti caldi su cui l'associazione sta lavorando è il tema delle gare e delle remunerazioni. Cosa pensa in merito?
So che il presidente sta lavorando parecchio su questo fronte, per cui sono ottimista; credo che presto si arriverà non tanto a una soluzione delle questioni, ma a definire un approccio più canonico verso le gare e le remunerazioni. Mi piacerebbe che gli associati rispettassero una deontologia professionale, anche se la parola 'deontologia' a volte infastidisce o forse non se ne conosce il significato. So che molte delle grandi agenzie la pensano come me, ma so anche che altre agiscono esattamente in senso contrario a quanto dichiarano, e questo atteggiamento non aiuta certo il settore, anzi lo danneggia, perchè si rischia di svendere la nostra professionalità per 10 denari. Senza puntare il dito contro nessuno, io preferisco evitare un certo tipo di gare senza sbandierare la mia decisione. E se in quelle a cui ho aderito ho sentore di dumping di prezzo, ne prendo subito le distanze. A volte questo approccio sembra arrogante. Non credo lo sia, è semplicemente buon senso, perchè non ho alcuna intenzione di svendere la professionalità di Leo Burnett e il servizio di alto livello che offre. Tempo fa in molti mi hanno chiesto perchè non ho aderito alla gara di un importante ente pubblico. Semplice, perchè giudico il valore di una gara con il parametro delle dimensioni della remunerazione, che dà sostegno all'agenzia, e non con quello del lavoro da svolgere. Un'agenzia di pubblicità è un'azienda che ha dei costi, dei ricavi e obiettivi. Un'azienda che deve comunque generare dei profitti.
Qual è secondo lei la forma più intelliegente di remunerazione che un'azienda può dare a un'agenzia?
Non esiste una forma intelligente, ma una forma redditiva. La forma redditiva diventa anche intelligente. La migliore è ormai a fee, calcolati nelle diverse accezioni, non più la commissione d'agenzia, retaggio di un sistema ormai antiquato, l'investimento del budget sui media tradizionali. In un panorama in cui la comunicazione è integrata, bisogna adeguare i sistemi di remunerazione ai new media emergenti.
Elena Colombo