
Interviste
Capeci (Kantar): “Le marche generano valore economico sul lungo periodo, ma hanno bisogno di strategie di brand validate e certificate che siamo gli unici a poter offrire”
Al termine dell’incontro di presentazione dei Top 40 brand italiani, Federico Capeci, Managing Director, Spain & Italy di Kantar, ha analizzato e riasunto ai nostri microfoni gli aspetti più significativi emersi dalla ricerca BrandZ di quest’anno, con un ‘deep dive’ sulle dinamiche sottostanti all’andamento dei diversi settori e al ruolo che Kantar può e vuole giocare affinché il mondo dell’industria di marca possa continuare a crescere.
“Innazitutto – esordisce Capeci – stiamo parlando di 40 aziende che, proprio per il contributo che dà il brand e quindi non per tutti i loro asset intangibili, da soli capitalizzano più di 120 miliardi di dollari: parliamo quindi di un comparto la cui dimensione è sicuramente importante. Detto questo, all'interno della classifica iniziamo a vedere delle dinamiche nuove e in controtendenza con la stabilità che caratterizzava la graduatoria, dove i brand ‘storici’ rimanevano saldamente e a lungo nelle loro posizioni. Quest'anno si registra infatti la discesa molto importante di Gucci, che mantiene la prima posizione ma che ha visto diminuire notevolmente il gap con il secondo”.
Gucci, spiega Capeci, ha perso moltissimo sia dal punto di vista finanziario, per la crisi del mercato dei Luxury Goods, sia dal punto di vista di brand: “La sua
differenziazione, che era ciò che lo rendeva appunto unico rispetto alla competizione sullo scenario internazionale, è molto scesa per tanti motivi. Dall'altro lato, invece, Enel ha conquistato la seconda posizione perché si è fatta vedere molto di più rispetto agli anni passati, grazie a un rebranding potentissimo e ad attività dicomunicazione molto coerenti. Lo stesso vale per il terzo posto di Ferrari che continua a crescere ogni anno in maniera significativa grazie a risultati finanziari notevoli”.
Un altro elemento nuovo che emerge dalla ricerca di quest’anno, sottolinea Capeci, è che ci sono alcune cose da capire bene: “Per esempio, ci sono dei settori come quello del Finance, quindi banche e assicurazioni, che hanno un grande valore economico dovuto però in gran parte a strategie finanziarie, mentre invece il contributo del vero brand è molto limitato e a volte addirittura in discesa. Questo significa che se oggi vediamo tutti i grandi brand finanziari italiani crescere proprio dal punto di vista economico, l'anno prossimo, se non agiscono quest'anno su altri fronti, li vedremo sicuramente in decrescita. Questo ci distingue rispetto ad altri mercati, come quello spagnolo o anglosassone, dove il banking dà vita a brand di tutto rispetto e di grandissimo valore”.
Un altro ambito molto interessante che sta emergendo fra i brand di maggior valore è quello del Retail, che in un certo senso sfata il luogo comune che da sempre fa una grande distinzione tra marche industriali e marche del supermercato: “Questa classifica – sostiene Capeci – dimostra che sono entrambe marche e brand, e che quindi oggi quelle di Conad, Coop ed Esselunga sono strategie di brand a tutto tondo, che quindi impongono nuove riflessioni anche nella relazione fra marche e retailer. Altri settori rimangono più o meno stabili, come l'importanza dei brand del lusso e l'importanza del food che rimangono sempre caratteri distintivi del nostro paese”.
Dall’awareness all’equity, riequilibrando branding e performance
Uno dei punti salienti che emerge dalla nuova release della ricerca e dall’analisi dei suoi risultati, sul quale Capeci si era già soffermato all’atto della presentazione del nuovo framework operativo di Kantar “Meaningful, Different, Salient” (leggi news: https://www.adcgroup.it/adv-express/news/industry/industry/kantar-italia-chiude-il- 2024-a-25-mln-di-fatturato-7-e-si-riorganizza-con-le-unit-brand-growth-e-demand- growth-.html), è il tema dell'equilibrio fra attività di performance e di branding.
Come si stanno muovendo e dove stanno andando le aziende italiane da questo punto di vista?
“Io posso dire dove noi vorremmo che andassero – risponde Capeci –, nel senso che dove stanno andando dipende da molteplici fattori: noi vorremmo che andassero verso un equilibrio maggiore fra un investimento di breve, anche su piattaforme digitali molto rilevanti da questo punto di vista, ma senza tralasciare il valore di lungo periodo. Investire nel brand e sul brand permette di avere una baseline che un’azienda può portare a capitalizzazione nei mesi e a volte anche negli anni successivi. Quindi stiamo andando in questa direzione grazie a tool di misurazione sempre più sofisticati, anche se non facili da eseguire”.
“Abbiamo oramai strumenti molto validati e certificati – ribadisce Capeci – che ci permettono di quantificare il valore di un investimento media o di marketing in termini di ritorno non solo sulle sales di breve ma anche su quelle differite, che sono appunto il frutto della baseline del brand. Siamo gli unici a farlo e vorremmo che molte aziende adottassero questo tipo di visione perché da lì parte tutto: per esempio una rivisitazione di quanto le campagne cosiddette istituzionali, se legate a un valore specifico che l’azienda mette in evidenza, possano produrre valore economico”.
Secondo Capeci è “Il momento di abbandonare la questione ‘awareness versus performance’: è una storia che ci hanno raccontato per molto tempo, ma che sicuramente oggi non esiste più. Adesso c'è invece un tema di brand equity che si manifesta sia in una performance di breve sia in una performance di lungo periodo. Quindi il nostro lavoro è quello di cercare di dare delle verità sui dati e non cedere a queste retoriche”.
Il ruolo strategico di Kantar nel ‘Dare forma ai brand del futuro’
Come si lega o dove si inserisce l’approccio di Kantar in quello che è l’ecosistema al quale si appoggiano le aziende e dove tutti i diversi player – dalle agenzie media a quelle creative, fino alle grandi società di consulenza – oggi mirano a ritagliarsi un ruolo, appunto, consulenziale?
“In questo sistema Kantar ha un ruolo assolutamente fondamentale – si dice convinto Capeci –, che è quello di partner indispensabile per le strategie di brand. Senza Kantar, cioè, non si può fare una strategia che abbia un impatto certo in termini di vendite, in termini di performance e di capitalizzazione. Poi le strategie media, le strategie creative, le strategie retail o le società di consulenza possono partire sicuramente da lì: ma solo dopo che noi abbiamo inquadrato molto bene l'aspetto strategico, perché non avendo bias – media o creativi – questo è ciò che Kantar fa meglio di tutti”.
“Il nostro secondo ruolo, non meno importante, è poi quello di misurare i risultati del lavoro dell'agenzia media, dell'agenzia creativa e di tutti i consulenti, che ormai proliferano anche in ambito Artificial Intelligence. Su questo tema, ciò che noi oggi chiediamo ai clienti è: l'IA rende il vostro brand più meaningful e più different? E questa è davvero la domanda fondamentale: perché sicuramente può migliorare l’efficienza eaumentare la scalabilità, ma l’Intelligenza Artificiale è in grado di differenziare davvero la marca?”.
Tommaso Ridolfi