Interviste
NC - Nuova Comunicazione. A cavallo del cambiamento
Sapere innovare approcci e strumenti; arricchire le proprie competenze e scegliere i giusti partner a cui appoggiarsi; essere in grado di offrire al cliente una consulenza strategica a lungo termine, e comprendere a fondo gli scenari internazionali. Queste sono le principali sfide che le agenzie si trovano ad affrontare per rimanere competitive e sulla cresta dell’onda. Pubblichiamo l'inchiesta 'Italians do it better' tratta dal numero (57) di dicembre-gennaio 2016, della rivista NC - Nuova Comunicazione.
“Non dobbiamo più fermarci alla moda della brand awareness ricercata attraverso la comunicazione; le aziende oggi chiedono alle agenzie una consulenza globale, sotto tutti gli aspetti del marketing: brand image, digital Pr, eventi, promozioni, branded content, implementazione e gestione di siti e piattaforme e-commerce, app, ecc…”. Partiamo da questa dichiarazione di Lorenzo Castelnuovo, ceo e partner Early Morning, per riflettere su come nell’era della frammentazione dei mezzi e della loro continua moltiplicazione, le agenzie italiane indipendenti protagoniste di questa inchiesta debbano reagire e organizzarsi per rispondere a una domanda molto diversa rispetto al passato.“Le marche hanno bisogno di strategia - aggiunge Marco Di Marco, ceo TakeGroup -. Aziende e agenzie devono cominciare di nuovo a ragionare a medio/lungo termine. Ciò vuol dire anche avere la capacità di definire regole e procedure di ingaggio entro le quali sfruttare le opportunità del day by day. L’instant advertising, ad esempio, è un’arma fenomenale, se marca e agenzia hanno correttamente stabilito a priori un perimetro di azione, basato su valori e posizionamento”.
Fondamentale è che l’agenzia sia in grado di supportare il cliente nel racconto dei propri valori in un processo interattivo. Certo, precisa Armando Roncaglia, amministratore unico Gruppo Roncaglia, “non è facile trasformare questo processo da monodirezionale a dialogico, ma è un imperativo che impone nuovi modelli di narrazione, anche perché oggi la marca non è solo un elemento statico, ma diviene dinamico nel processo liquido della comunicazione interattiva”. In questo contesto, diventa necessario per le agenzie dotarsi di nuove competenze e professionalità in grado di seguire l’evoluzione del mercato. Una domanda, però, sporge spontanea: dato questo quadro, c’è ancora spazio per le ‘boutiques creative’, come sono molte delle realtà italiane indipendenti, o c’è invece bisogno di strutture più ampie in termine di struttura e complete dal punto di vista delle competenze? E poi: le agenzie devono saper ‘fare tutto’ per riuscire a sviluppare progetti davvero medianeutral, oppure è meglio per loro specializzarsi in un determinato ambito?
“Certamente occorrono molte più competenze di prima, ma ciò non significa dovere avere una struttura elefantiaca - è convinto Andrea De Micheli, ceo Casta Diva Group -. Bisogna invece sapere dove andare a prendere queste conoscenze e saperle gestire. Di Casta Diva Group fanno parte diverse piccole strutture che collaborano nei vari progetti, ma che non vanno a costituire un colosso in cui regna la burocrazia. I clienti, infatti,sempre di più si stanno rendendo conto che è meglio avere partner di comunicazione snelli, che sanno però coordinare diverse competenze e professionalità non interne con cui collaborano o che gestiscono, come nel nostro caso”.
Concorda con questa considerazione Lorenzo Castelnuovo (Early Morning): “Lo spazio va a quelle agenzie che, molto competenti in tematiche verticali, mettono a disposizione non solo dei propri clienti, ma anche di altre agenzie, le proprie capacità. Parlando delle web agency, riteniamo che le minacce all’indipendenza delle piccole agenzie, imputabili esclusivamente al contenimento dei costi,siano più che compensate dalle opportunità di essere flessibili e veloci nelle risposte da dare a un mercato molto più complesso e articolato rispetto al passato”.
Per Stefano Capraro, partner e ceo Ideal Comunicazione, è importante avere al proprio interno professionalità diversificate con esperienze non strettamente creative.“Quello che fa davvero la differenza è la capacità di fornire un supporto non solo strategico,ma anche operativo di alto profilo - spiega -. Per farlo, non necessariamente servono più persone, ma professionalità differenti e atipiche, capaci di dare nuovo impulso al classico modo di ‘fare i creativi’. In Ideal abbiamo quattro copywriter di riferimento, ciascuna con una storia, aziendale e personale, diversissima”. Molto di più, però, della dimensione dell’agenzia è importante la sua capacità innovativa e di sperimentazione. Ne è convinto Mauro Miglioranzi, amministratore unico Cooee Italia, che dichiara: “C’è spazio per le boutiques creative? Certo che sì. La domanda da porsi è: riescono le boutiques creative a rimanere innovative? Questa è la vera sfida che dobbiamo affrontare. Il panorama della comunicazione, che oggi ci appare tanto caotico, un domani dovrà configurarsi attraverso un’offerta multicanale ricca e articolata, in grado di soddisfare esigenze estremamente diverse”.
Essere competitivi, un must
In un’epoca in cui il partner di comunicazione è prima di tutto un consulente a 360 gradi, vengono a cadere le distinzioni fra le diverse tipologie di agenzie, esistenti anche solo fino a qualche anno fa. Ciò è sempre di più evidente nel coinvolgimento di strutture di differenti ambiti all’interno di una stessa gara. Quello che però emerge con più forza,soprattutto in tempi di crisi, è il fatto che ormai le agenzie di dimensioni medio-piccole competono a pari livello con quelle delle grandi holding.Diventa quindi fondamentale essere in grado di capire esattamente su quale terreno si gioca la partita, e quali sono le strategie vincenti. Su un punto tutti gli intervistati sono d’accordo: l’elemento differenziante è la capacità delle strutture indipendenti di considerare il cliente centrale e di stabilire con lui delle relazioni dirette, grazie a organizzazioni snelle e agili.
Come spiega Mauro Miglioranzi (Cooee Italia): “Un’agenzia medio-piccola può muoversi meglio sul piano della relazione, sviluppando una maggiore sensibilità e attenzione verso le persone che rappresentano l’azienda e instaurando con esse, quando ciò è possibile, rapporti umani che possono veramente facilitare il lavoro dell’agenzia. Infine, c’è la flessibilità, un vantaggio che funziona molto bene quando il marketing dell’azienda cerca un’agenzia che sappia interpretare il ruolo di partner, sempre pronto a interfacciarsi con esigenze diverse”.
“Competitività è sinonimo di efficienza, competizione è sinonimo di confronto - aggiunge Armando Roncaglia (Gruppo Roncaglia) -. Efficienza equivale a velocità a parità di qualità, quindi il piano della competizione si sposta su modelli organizzativi elastici e efficienti, in grado di fornire risposte coordinate a esigenze complesse delle aziende, senza rinunciare alla qualità creativa applicabile all’esigenza di comunicazione”.
Dumping? No grazie
Sicuramente, però, la competizione non si gioca sotto l’aspetto economico: non è vero, concordano gli intervistati, che le strutture indipendenti medio-piccole tendano al ribasso nelle retribuzioni, facendo dumping. “È vero il contrario - è convinto Aldo Cernuto, managing director Cernuto Pizzigoni & Partners -: mentre le agenzie dei grandi network possono abbassare i costi in virtù di strutture diverse, quelle medie e piccole indipendenti non possono permettersi di scendere sotto certi livelli perché il loro impegno in un progetto è una quota importante del loro lavoro”.
Eccoci dunque arrivati a un tema tanto attuale quanto spinoso: quello della remunerazione, che diventa ancora più critico in tempi di difficoltà economica.“Il mercato ha imposto regole di valutazione del valore della remunerazione di agenzia, più vicine a quelle utilizzate in altri ambiti, dall’information technology alla consulenza d’impresa - commenta Marco Di Marco (TakeGroup) -. Che ci piaccia o meno sono queste le regole da seguire. Anche le piccole agenzie si sono adattate e probabilmente, data la minor forza finanziaria, sono quelle meno inclini ad azioni di dumping”. Importante è dunque trovare una strategia efficace per ottenere remunerazioni adeguate senza perdere in competitività.“Bisogna quotare il progetto o l’impegno annuale su un modello il più scientifico possibile - sostiene Aldo Cernuto (Cernuto Pizzigoni & Partners) -, che tenga conto delle ore impiegate, del numero di persone coinvolte, nonché di tutti gli aspetti che portano alla realizzazione del progetto”.
Italianità oltre confine: un valore?
È poi un fatto che sempre più agenzie italiane lavorino anche in contesti internazionali, spesso attraverso sedi proprie in altre città del mondo, o in altri casi appoggiandosi a realtà locali. La sfida diventa dunque quella di affrontare, con un Dna italiano al 100%, mercati nuovi, con differenti dinamiche, player, e approcci al lavoro. Entrare in sintonia con altri modi di lavorare, però, non è semplice: come spiega Mauro Miglioranzi (Cooee Italia): “La nostra forza nasce da una forma mentis molto creativa, elastica, problem solver - spiega -. La nostra debolezza invece è la presunzione che nasce dalla facilità con cui risolviamo molti problemi. Crediamo troppo nel ‘fai da te’, nell’illusione di saperci sempre arrangiare e poter fare da soli. La sfida quindi è imparare a fare squadra, ragionare creativamente, ma riconoscendo la necessità dei sistemi organizzati”.
Sul valore che l’italianità ha all’estero, però, gli intervistatisi dividono. C’è chi, come Marco Di Marco (TakeGroup), sostiene che “noi italiani abbiamo già conquistato il mondo, ma non lo sappiamo. Italianità è, per tutti, sinonimo di creatività. E le aziende italiane che si trovano a operare in mercati esteri devono far tesoro di questa percezione”. Dall’altro lato, c’è chi come Aldo Cernuto non è affatto convinto che il made in Italy nella comunicazione sia apprezzato fuori dal nostro Paese. “L’immagine dell’Italia come Paese che comunica non è molto positiva - spiega -. Spesso alla base vi sono dei pregiudizi sull’affidabilità degli italiani, alimentati da una realtà di fondo, che vengono però meno davanti a progetti creativi di valore. Quello che conta è sicuramente la comprensione su scenari internazionali di problematiche diverse da quello domestiche, il cosiddetto ‘customer understanding’”.
Una sfida, questa, che le agenzie indipendenti italiane devono sapere cogliere e affrontare al meglio se vogliono giocare ‘fuori casa’.
Ilaria Myr
Fondamentale è che l’agenzia sia in grado di supportare il cliente nel racconto dei propri valori in un processo interattivo. Certo, precisa Armando Roncaglia, amministratore unico Gruppo Roncaglia, “non è facile trasformare questo processo da monodirezionale a dialogico, ma è un imperativo che impone nuovi modelli di narrazione, anche perché oggi la marca non è solo un elemento statico, ma diviene dinamico nel processo liquido della comunicazione interattiva”. In questo contesto, diventa necessario per le agenzie dotarsi di nuove competenze e professionalità in grado di seguire l’evoluzione del mercato. Una domanda, però, sporge spontanea: dato questo quadro, c’è ancora spazio per le ‘boutiques creative’, come sono molte delle realtà italiane indipendenti, o c’è invece bisogno di strutture più ampie in termine di struttura e complete dal punto di vista delle competenze? E poi: le agenzie devono saper ‘fare tutto’ per riuscire a sviluppare progetti davvero medianeutral, oppure è meglio per loro specializzarsi in un determinato ambito?
“Certamente occorrono molte più competenze di prima, ma ciò non significa dovere avere una struttura elefantiaca - è convinto Andrea De Micheli, ceo Casta Diva Group -. Bisogna invece sapere dove andare a prendere queste conoscenze e saperle gestire. Di Casta Diva Group fanno parte diverse piccole strutture che collaborano nei vari progetti, ma che non vanno a costituire un colosso in cui regna la burocrazia. I clienti, infatti,sempre di più si stanno rendendo conto che è meglio avere partner di comunicazione snelli, che sanno però coordinare diverse competenze e professionalità non interne con cui collaborano o che gestiscono, come nel nostro caso”.
Concorda con questa considerazione Lorenzo Castelnuovo (Early Morning): “Lo spazio va a quelle agenzie che, molto competenti in tematiche verticali, mettono a disposizione non solo dei propri clienti, ma anche di altre agenzie, le proprie capacità. Parlando delle web agency, riteniamo che le minacce all’indipendenza delle piccole agenzie, imputabili esclusivamente al contenimento dei costi,siano più che compensate dalle opportunità di essere flessibili e veloci nelle risposte da dare a un mercato molto più complesso e articolato rispetto al passato”.
Per Stefano Capraro, partner e ceo Ideal Comunicazione, è importante avere al proprio interno professionalità diversificate con esperienze non strettamente creative.“Quello che fa davvero la differenza è la capacità di fornire un supporto non solo strategico,ma anche operativo di alto profilo - spiega -. Per farlo, non necessariamente servono più persone, ma professionalità differenti e atipiche, capaci di dare nuovo impulso al classico modo di ‘fare i creativi’. In Ideal abbiamo quattro copywriter di riferimento, ciascuna con una storia, aziendale e personale, diversissima”. Molto di più, però, della dimensione dell’agenzia è importante la sua capacità innovativa e di sperimentazione. Ne è convinto Mauro Miglioranzi, amministratore unico Cooee Italia, che dichiara: “C’è spazio per le boutiques creative? Certo che sì. La domanda da porsi è: riescono le boutiques creative a rimanere innovative? Questa è la vera sfida che dobbiamo affrontare. Il panorama della comunicazione, che oggi ci appare tanto caotico, un domani dovrà configurarsi attraverso un’offerta multicanale ricca e articolata, in grado di soddisfare esigenze estremamente diverse”.
Essere competitivi, un must
In un’epoca in cui il partner di comunicazione è prima di tutto un consulente a 360 gradi, vengono a cadere le distinzioni fra le diverse tipologie di agenzie, esistenti anche solo fino a qualche anno fa. Ciò è sempre di più evidente nel coinvolgimento di strutture di differenti ambiti all’interno di una stessa gara. Quello che però emerge con più forza,soprattutto in tempi di crisi, è il fatto che ormai le agenzie di dimensioni medio-piccole competono a pari livello con quelle delle grandi holding.Diventa quindi fondamentale essere in grado di capire esattamente su quale terreno si gioca la partita, e quali sono le strategie vincenti. Su un punto tutti gli intervistati sono d’accordo: l’elemento differenziante è la capacità delle strutture indipendenti di considerare il cliente centrale e di stabilire con lui delle relazioni dirette, grazie a organizzazioni snelle e agili.
Come spiega Mauro Miglioranzi (Cooee Italia): “Un’agenzia medio-piccola può muoversi meglio sul piano della relazione, sviluppando una maggiore sensibilità e attenzione verso le persone che rappresentano l’azienda e instaurando con esse, quando ciò è possibile, rapporti umani che possono veramente facilitare il lavoro dell’agenzia. Infine, c’è la flessibilità, un vantaggio che funziona molto bene quando il marketing dell’azienda cerca un’agenzia che sappia interpretare il ruolo di partner, sempre pronto a interfacciarsi con esigenze diverse”.
“Competitività è sinonimo di efficienza, competizione è sinonimo di confronto - aggiunge Armando Roncaglia (Gruppo Roncaglia) -. Efficienza equivale a velocità a parità di qualità, quindi il piano della competizione si sposta su modelli organizzativi elastici e efficienti, in grado di fornire risposte coordinate a esigenze complesse delle aziende, senza rinunciare alla qualità creativa applicabile all’esigenza di comunicazione”.
Dumping? No grazie
Sicuramente, però, la competizione non si gioca sotto l’aspetto economico: non è vero, concordano gli intervistati, che le strutture indipendenti medio-piccole tendano al ribasso nelle retribuzioni, facendo dumping. “È vero il contrario - è convinto Aldo Cernuto, managing director Cernuto Pizzigoni & Partners -: mentre le agenzie dei grandi network possono abbassare i costi in virtù di strutture diverse, quelle medie e piccole indipendenti non possono permettersi di scendere sotto certi livelli perché il loro impegno in un progetto è una quota importante del loro lavoro”.
Eccoci dunque arrivati a un tema tanto attuale quanto spinoso: quello della remunerazione, che diventa ancora più critico in tempi di difficoltà economica.“Il mercato ha imposto regole di valutazione del valore della remunerazione di agenzia, più vicine a quelle utilizzate in altri ambiti, dall’information technology alla consulenza d’impresa - commenta Marco Di Marco (TakeGroup) -. Che ci piaccia o meno sono queste le regole da seguire. Anche le piccole agenzie si sono adattate e probabilmente, data la minor forza finanziaria, sono quelle meno inclini ad azioni di dumping”. Importante è dunque trovare una strategia efficace per ottenere remunerazioni adeguate senza perdere in competitività.“Bisogna quotare il progetto o l’impegno annuale su un modello il più scientifico possibile - sostiene Aldo Cernuto (Cernuto Pizzigoni & Partners) -, che tenga conto delle ore impiegate, del numero di persone coinvolte, nonché di tutti gli aspetti che portano alla realizzazione del progetto”.
Italianità oltre confine: un valore?
È poi un fatto che sempre più agenzie italiane lavorino anche in contesti internazionali, spesso attraverso sedi proprie in altre città del mondo, o in altri casi appoggiandosi a realtà locali. La sfida diventa dunque quella di affrontare, con un Dna italiano al 100%, mercati nuovi, con differenti dinamiche, player, e approcci al lavoro. Entrare in sintonia con altri modi di lavorare, però, non è semplice: come spiega Mauro Miglioranzi (Cooee Italia): “La nostra forza nasce da una forma mentis molto creativa, elastica, problem solver - spiega -. La nostra debolezza invece è la presunzione che nasce dalla facilità con cui risolviamo molti problemi. Crediamo troppo nel ‘fai da te’, nell’illusione di saperci sempre arrangiare e poter fare da soli. La sfida quindi è imparare a fare squadra, ragionare creativamente, ma riconoscendo la necessità dei sistemi organizzati”.
Sul valore che l’italianità ha all’estero, però, gli intervistatisi dividono. C’è chi, come Marco Di Marco (TakeGroup), sostiene che “noi italiani abbiamo già conquistato il mondo, ma non lo sappiamo. Italianità è, per tutti, sinonimo di creatività. E le aziende italiane che si trovano a operare in mercati esteri devono far tesoro di questa percezione”. Dall’altro lato, c’è chi come Aldo Cernuto non è affatto convinto che il made in Italy nella comunicazione sia apprezzato fuori dal nostro Paese. “L’immagine dell’Italia come Paese che comunica non è molto positiva - spiega -. Spesso alla base vi sono dei pregiudizi sull’affidabilità degli italiani, alimentati da una realtà di fondo, che vengono però meno davanti a progetti creativi di valore. Quello che conta è sicuramente la comprensione su scenari internazionali di problematiche diverse da quello domestiche, il cosiddetto ‘customer understanding’”.
Una sfida, questa, che le agenzie indipendenti italiane devono sapere cogliere e affrontare al meglio se vogliono giocare ‘fuori casa’.
Ilaria Myr