Interviste
NC - Speciale Brand Communication. Inarea, design integration Community
La rete internazionale e indipendente di professionisti sviluppa progetti per migliorare le performance dei clienti, definendone l’identità. Un approccio ‘umanistico’ quello di Inarea, volto a costruire una rappresentazione dell’idea di futuro delle marche, portandone alla luce contenuti e valori che permettano loro di spiccare in termini di unicità e irripetibilità. Pubblichiamo l'intervista tratta dallo Speciale Brand Communication (I Player) allegato al numero 57 (dicembre-gennaio 2016) di NC - Nuova Comunicazione.
Nata oltre 35 anni fa, Inarea è una comunità di professionisti con un forte principio aggregante nel design inteso come cultura del progetto e della visione strategica. I suoi tratti distintivi sono la capacità di integrare idee ed esperienze diverse all’interno di un unico universo e saper costruire, insieme al cliente, progetti multidisciplinari in grado di disegnarne e valorizzarne l’identità.
Immaginazione e desiderio di un mondo migliore sono alcuni dei valori e delle parole chiave della società, come spiega Eduardo Salierno (nella foto), partner e senior consultant, al quale abbiamo chiesto anche quali siano i punti di forza che distinguono Inarea dai competitor:
“Mi piacerebbe cominciare dall’insopprimibile vocazione a sognare a occhi aperti che, in un’accezione più professionale, potrei definire immaginazione. Più in termini di visione, desiderio di un mondo migliore, che ha bisogno di bellezza per esprimersi e rappresentarsi. Non a caso, al centro della nostra azione, c’è sempre il disegno del cambiamento, la rappresentazione dell’identità: questa non è altro, nei fatti, che la traduzione in concretezza di un’idea di futuro, di un programma di sviluppo. La rappresentazione, insomma, di una direttrice aspirazionale e non importa se a esprimerla è un’azienda, una città, un’istituzione, un prodotto o un servizio. Accompagniamo i nostri clienti nel percorso che si richiede quando il cambiamento va governato e condiviso a tutti i livelli di interlocuzione. Credo che questo ‘umanesimo’ sia la cifra caratteristica del nostro agire e, di conseguenza, un valore distintivo rispetto alla prassi professionale”.
Il vostro calendario ha festeggiato i 25 anni con la mostra ‘Calendarea’ (Triennale di Milano, 25 nov-20 dic). Qual è il suo valore sul fronte della brand communication?
I nostri calendari sono un gioco, una metafora del nostro modo di intendere il progetto: partire cioè dalla realtà che abbiamo sotto gli occhi e ricomporre gli elementi presenti secondo criteri che riescano a sorprendere la sensibilità di chi guarda. Il risultato è sempre apparentemente semplice, leggero e un po’ ironico, spesso strappa anche un sorriso ma, in ogni caso, non deve essere mai né banale né prevedibile. Tutto questo specchia ciò che di solito riusciamo a modellare sull’universo dei nostri clienti. È un esercizio di leadership: solo i veri leader, infatti, si presentano con grande semplicità e, all’occorrenza, sono capaci di autoironia.
Come è possibile trasformare il brand in un asset strategico?
La strategicità del brand sta nel suo impiego come strumento di sintesi, in grado di tradurre una visione generale, ampia e profonda, in concetti, narratività, azioni. Questi, a loro volta dovranno trasferire efficacemente, attraverso l’esperienza che viene generata, il senso aspirazionale della visone e il significato puntuale dell’agire di un’impresa. Il processo da seguire deve permettere di immaginare e compiere questo percorso in maniera sistemica, mettendo al centro gli elementi di relazione e dialogo tra l’impresa e i suoi pubblici/attori.
Quali strategie adottare oggi per trasmettere una brand identity coerente e distintiva?
Il brand, che per necessità deve essere sempre culturalmente attuale, si trova a vivere in un universo in cui la contaminazione tra digitale e fisico, virtuale e reale è una fondamentale chiave di lettura, interpretazione e gestione strategica delle opportunità. Il ‘reale’, inoltre, si configura non solo in termini di spazio, ma soprattutto di tempo: l’abitudine al ‘tempo reale’ - dalle notizie alle relazioni personali -, oggi diventa un fattore comportamentale che ha forti ricadute nella relazione tra marche e persone. Per questo la capacità di presenza va studiata e progettata in modo consapevole, premiando il valore ‘pre-esperienziale’ del brand facendo leva sull’effetto di conferma e rilancio delle aspettative da parte delle persone.
Quali recenti case history sono per voi particolarmente significative?
Anche il 2015 è stato un anno ricco di interventi e spunti interessanti, sia in continuità con clienti di lungo corso, sia rispetto a nuove acquisizioni. Attraverso il lavoro e la necessaria riflessione che questo porta con sé, abbiamo continuato a immaginare il percorso futuro di Inarea come ‘design integration community’, una comunità di persone e idee che trovano un forte principio aggregante nel design inteso come cultura del progetto e della visione strategica. In questo senso, il progetto ‘Renaissance’, che poi è anche il titolo del calendario del venticinquennale, è attualmente il filo conduttore di un percorso di impresa che ha visto il definitivo trasloco della nostra sede di Milano, con nuove partnership avviate nella direzione del design dei servizi, e che vede per il 2016 la prosecuzione sulla strada delle collaborazioni e delle sperimentazioni centrate sullo sviluppo di progetti multidisciplinari. Tra i numerosi temi affrontati, mi vorrei soffermare su tre casi. Il primo è il percorso fatto con Utilitalia, Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici di Acqua, Ambiente, Energia Elettrica e Gas. In questo caso, è stato fondamentale approfondire il tema della rappresentanza e del valore dell’aggregazione, in un settore in forte trasformazione, su cui siamo impegnati da anni. Il secondo è il lavoro fatto con Nctm, uno dei massimi studi legali italiani con profilo internazionale, in cui la ridefinizione della brand identity non è partita dalla necessità di ridefinire il ‘chi siamo’, ma di dare una nuova prospettiva alle motivazioni dell’impresa legale: un percorso che conferma l’esigenza di osmosi e partnership tra cliente e consulente. Il terzo riguarda una start-up con 100 anni di storia: la società assicurativa Amissima, ex Carige Assicurazioni, ceduta al Fondo americano Apollo. L’obiettivo è stato quello di rappresentare la Compagnia come una novità nel settore: dal nome, femminile e palindromo, fino allo stile informale, allegro, positivo.
Marina Bellantoni
Immaginazione e desiderio di un mondo migliore sono alcuni dei valori e delle parole chiave della società, come spiega Eduardo Salierno (nella foto), partner e senior consultant, al quale abbiamo chiesto anche quali siano i punti di forza che distinguono Inarea dai competitor:
“Mi piacerebbe cominciare dall’insopprimibile vocazione a sognare a occhi aperti che, in un’accezione più professionale, potrei definire immaginazione. Più in termini di visione, desiderio di un mondo migliore, che ha bisogno di bellezza per esprimersi e rappresentarsi. Non a caso, al centro della nostra azione, c’è sempre il disegno del cambiamento, la rappresentazione dell’identità: questa non è altro, nei fatti, che la traduzione in concretezza di un’idea di futuro, di un programma di sviluppo. La rappresentazione, insomma, di una direttrice aspirazionale e non importa se a esprimerla è un’azienda, una città, un’istituzione, un prodotto o un servizio. Accompagniamo i nostri clienti nel percorso che si richiede quando il cambiamento va governato e condiviso a tutti i livelli di interlocuzione. Credo che questo ‘umanesimo’ sia la cifra caratteristica del nostro agire e, di conseguenza, un valore distintivo rispetto alla prassi professionale”.
Il vostro calendario ha festeggiato i 25 anni con la mostra ‘Calendarea’ (Triennale di Milano, 25 nov-20 dic). Qual è il suo valore sul fronte della brand communication?
I nostri calendari sono un gioco, una metafora del nostro modo di intendere il progetto: partire cioè dalla realtà che abbiamo sotto gli occhi e ricomporre gli elementi presenti secondo criteri che riescano a sorprendere la sensibilità di chi guarda. Il risultato è sempre apparentemente semplice, leggero e un po’ ironico, spesso strappa anche un sorriso ma, in ogni caso, non deve essere mai né banale né prevedibile. Tutto questo specchia ciò che di solito riusciamo a modellare sull’universo dei nostri clienti. È un esercizio di leadership: solo i veri leader, infatti, si presentano con grande semplicità e, all’occorrenza, sono capaci di autoironia.
Come è possibile trasformare il brand in un asset strategico?
La strategicità del brand sta nel suo impiego come strumento di sintesi, in grado di tradurre una visione generale, ampia e profonda, in concetti, narratività, azioni. Questi, a loro volta dovranno trasferire efficacemente, attraverso l’esperienza che viene generata, il senso aspirazionale della visone e il significato puntuale dell’agire di un’impresa. Il processo da seguire deve permettere di immaginare e compiere questo percorso in maniera sistemica, mettendo al centro gli elementi di relazione e dialogo tra l’impresa e i suoi pubblici/attori.
Quali strategie adottare oggi per trasmettere una brand identity coerente e distintiva?
Il brand, che per necessità deve essere sempre culturalmente attuale, si trova a vivere in un universo in cui la contaminazione tra digitale e fisico, virtuale e reale è una fondamentale chiave di lettura, interpretazione e gestione strategica delle opportunità. Il ‘reale’, inoltre, si configura non solo in termini di spazio, ma soprattutto di tempo: l’abitudine al ‘tempo reale’ - dalle notizie alle relazioni personali -, oggi diventa un fattore comportamentale che ha forti ricadute nella relazione tra marche e persone. Per questo la capacità di presenza va studiata e progettata in modo consapevole, premiando il valore ‘pre-esperienziale’ del brand facendo leva sull’effetto di conferma e rilancio delle aspettative da parte delle persone.
Quali recenti case history sono per voi particolarmente significative?
Anche il 2015 è stato un anno ricco di interventi e spunti interessanti, sia in continuità con clienti di lungo corso, sia rispetto a nuove acquisizioni. Attraverso il lavoro e la necessaria riflessione che questo porta con sé, abbiamo continuato a immaginare il percorso futuro di Inarea come ‘design integration community’, una comunità di persone e idee che trovano un forte principio aggregante nel design inteso come cultura del progetto e della visione strategica. In questo senso, il progetto ‘Renaissance’, che poi è anche il titolo del calendario del venticinquennale, è attualmente il filo conduttore di un percorso di impresa che ha visto il definitivo trasloco della nostra sede di Milano, con nuove partnership avviate nella direzione del design dei servizi, e che vede per il 2016 la prosecuzione sulla strada delle collaborazioni e delle sperimentazioni centrate sullo sviluppo di progetti multidisciplinari. Tra i numerosi temi affrontati, mi vorrei soffermare su tre casi. Il primo è il percorso fatto con Utilitalia, Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici di Acqua, Ambiente, Energia Elettrica e Gas. In questo caso, è stato fondamentale approfondire il tema della rappresentanza e del valore dell’aggregazione, in un settore in forte trasformazione, su cui siamo impegnati da anni. Il secondo è il lavoro fatto con Nctm, uno dei massimi studi legali italiani con profilo internazionale, in cui la ridefinizione della brand identity non è partita dalla necessità di ridefinire il ‘chi siamo’, ma di dare una nuova prospettiva alle motivazioni dell’impresa legale: un percorso che conferma l’esigenza di osmosi e partnership tra cliente e consulente. Il terzo riguarda una start-up con 100 anni di storia: la società assicurativa Amissima, ex Carige Assicurazioni, ceduta al Fondo americano Apollo. L’obiettivo è stato quello di rappresentare la Compagnia come una novità nel settore: dal nome, femminile e palindromo, fino allo stile informale, allegro, positivo.
Marina Bellantoni