Interviste

IF!. Nenna (UNA): "La nostra è un'industry sana, che cresce più del mercato (+5%), ma ancora troppo maschile. La forte componente di flessibilità nel lavoro gestita senza gli strumenti giusti"

Il presidente dell'Associazione commenta ad ADVexpress i risultati dell'Indagine sul mercato del lavoro nell'industry della comunicazione presentata il 9 novembre a IF!. Il settore resta polarizzato tra tante piccole società indipendenti (95% del campione) e pochi grandi attori, spesso appartenenti a network internazionali, che totalizzano oltre il 60% del fatturato complessivo. Ma Nenna commenta: "Non è una novità" e pone l'accento sul fatto, che nonostante un’occupazione a maggioranza femminile, le donne appaiano fortemente sottorappresentate nelle posizioni apicali delle società. Si rafforza il dialogo di UNA all'interno di Confindustria Intellect a favore di "un contratto nazionale collettivo che regolamenti in senso positivo la flessibilità che caratterizza l'industry in modo che possa generare benefici per imprese e professionisti e non diventare precarietà".

Lo scorso 9 novembre UNA ha presentato, nell'ambito di IF! Italians Festival a Base Milano l'indagine sul mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana riguardante il 2019, realizzata su iniziativa di Davide Baldi, CEO & Founder DUDE, in collaborazione con Fondazione Rodolfo Debenedetti. 

Sotto la lente dell'analisi,  le società di comunicazione attive in Italia, ovvero tutte quelle realtà che offrono consulenza creativo/strategica (le agenzie creative, digital e social), che si occupano di realizzazione e produzione (case di produzione audio, video, stampa, digital, etc.) e di pianificazione media, pubbliche relazioni, listening e social.

Il settore polarizzato tra tante piccole e medie agenzie e  pochi grandi attori, spesso appartenenti a network internazionali, che  totalizzano 2/3 del fatturato complessivo

Tra le principali evidenze emerse, il fatto che la maggior parte delle società di comunicazione in Italia è nata in anni recenti (il 62% nate dopo il 2000, il 28% dopo il 2010) e ha sede nel Nord Italia, in particolare a Milano.

Il settore appare polarizzato tra una moltitudine di piccole società indipendenti (95% del campione)
e pochi grandi attori, spesso appartenenti a network internazionali, che tuttavia da soli totalizzano 2/3 del fatturato complessivo.    Nel dettaglio, il settore della comunicazione italiana appare formato per lo più da Micro e Piccole imprese, che insieme rappresentano ben l’89% del campione. Il 42% delle imprese intervistate dichiara un fatturato inferiore al milione di euro (convenzionalmente definite Micro imprese), mentre il 48% non supera i 10 milioni di euro (Piccole imprese).

Le società tendono a diversificare le proprie attività, operando in diversi ambiti all’interno del settore comunicazione.  Entrano, infatti, a fare parte della industry società che operano in diversi ambiti all’interno del settore: prendendo in esame la leva del fatturato il 32% opera nel settore della progettazione strategica e creatività pura, il 18% nella produzione (di audio/video, grafica o eventi), mentre le attività sui Social Media, nel settore Digital e in attività di comunicazione BTL rappresentato tutte una quota equivalente dell’11%. Le restanti attività si dividono tra media planning (8%), PR e media relations (7%).

Le previsioni di crescita per il 2019 sono positive, sia in termini di fatturato (+5%) che di occupazione
(+6%), in linea con l’anno precedente e decisamente superiore alla crescita media del mercato dei servizi (+2%) e del PIL nazionale (+0,3%). Il 48% delle imprese prevede inoltre aumenti di organico.

Anche in termini occupazionali il settore mostra un andamento positivo. Dai dati raccolti, risulta un turnover annuale positivo (assunzioni/forza lavoro) pari al 12% e un turnover annuale negativo (cessazioni/forza lavoro) pari a -7%. Per il 2018 si registra, quindi, un saldo positivo pari al 5%, che si traduce in un aumento dell’organico totale del settore. Tale saldo positivo sostiene la crescita del settore, in linea con le previsioni di crescita complessiva del fatturato.

 

Largo a giovani e donne anche se il gender gap nelle posizioni apicali rimane una questione aperta

Gli occupati con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni sono il 47% del totale (rispetto a una media nazionale del 23% mentre le donne rappresentano il 65% della forza lavoro, percentuale che rimane stabile in pressoché tutte le fasce di età. Si tratta chiaramente di una peculiarità di questo settore, che lo differenzia sia dal mercato del lavoro italiano nel suo complesso, nel quale la quota di donne tra gli occupati è pari solo al 42%, sia al solo mercato dei servizi, dove le donne sono il 47%

Nonostante un’occupazione a maggioranza femminile, tuttavia, le donne appaiono fortemente sottorappresentate nelle posizioni apicali delle società.

Un divario di genere emerge proprio confrontando la percentuale media di donne tra tutti gli occupati del settore con quella nelle posizioni apicali delle società. Tra i dirigenti, infatti, la quota di donne scende drasticamente di ben 30 punti percentuali al di sotto della media di settore (passando da 66% a 36%). Tale sotto-rappresentazione delle donne è molto più pronunciata nelle società di comunicazione che nel resto del settore servizi. Viceversa, se si prendono in esame i livelli di inquadramento più bassi, il genere femminile è fortemente sovra-rappresentate. Il settore si dimostra, quindi, caratterizzato da una forte disparità di genere nella probabilità di accesso ai livelli di inquadramento più elevati e, di conseguenza, alle posizioni apicali all’interno delle aziende.

La presenza di occupati stranieri è invece molto ridotta - pari solo al 4% - e inferiore alla media nazionale (11%). Solo nelle società indipendenti con filiali all’estero la presenza di occupati stranieri sale al 9%, restando comunque al di sotto della media nazionale.

 

Contratti e qualità del posto di lavoro

Il 64% del personale è assunto con contratto a tempo indeterminato, mentre il restante 36% con una varietà di contratti “flessibili” a termine e/o autonomi. Ad essi, si aggiunge un 21% addizionale di “freelance occasionali”.  Le società adottano una struttura organizzativa flessibile per adattarsi rapidamente a variazioni di domanda, utile anche come potenziale bacino di reclutamento.

Il settore appare molto incentrato sul mercato nazionale, con pochi segnali di apertura verso l’estero: sono poche le società indipendenti italiane con sedi all’estero (7%) e la quota di occupati stranieri è estremamente bassa (4%).

Orari di lavoro flessibili sono largamente diffusi. Lo smartworking è consentito nel 52% delle
imprese.

Il ricorso ad ore extra di lavoro è una prassi diffusa nel 72% delle società, ma solo in minima parte compensato da incrementi retributivi.

La contrattazione collettiva di secondo livello è poco diffusa e al di sotto della media nazionale.
Tuttavia, è comune l’utilizzo di premi di produzione, forse utilizzati per compensare ex-post le ore extra di lavoro nonché adattare i propri schemi di remunerazione alle peculiarità aziendali e premiare la produttività individuale.

Abbiamo chiesto a Emanuele Nenna, presidente di UNA, un'analisi critica della fotografia scattata dall'indagine.

"Che il mercato sia polarizzato tra tante sigle piccole e indipendenti ancora poco presenti a livello internazionale  e pochi grandi gruppi che totalizzano circa il 60% del mercato non è una novità - esordisce Nenna - e in questo senso in UNA stiamo fornendo a queste agenzie gli spunti , i contatti e gli strumenti per crescere, ma  quel che  salta all'occhio e merita un'azione ancora più mirata è la notevole flessibilità che caratterizza l'industry in maniera consistente, senza perà un'adeguata regolamentazione contrattuale". "Questo scenario  - prosegue Nenna - spinge ulteriormente l'impegno di UNA nel dialogo con il Governo all'interno di Confindustria Intellect per un contratto di lavoro collettivo che consenta di gestire questa flessibiiltà in modo positivo, in modo che ne possano beneficiare sia le imprese creative che i professionisti che vi lavorano. In caso contrario il rischio è che si trasformi in precarietà". 

"L'industry della comunicazione è sana, cresce più del mercato, registrando un +5% di fatturato e +6% di occupazione, ma va ulteriormente valorizzata" sottolinea il presidente di UNA.   Uno degli aspetti da cui passa il rinnovamento delle imprese è la riduzione delle disparità nelle posizioni apicali, in cui la componente femminile risulta talvolta penalizzata. "Si tratta di una questione di tipo culturale, che caratterizza in generale il sistema Paese - osserva Nenna - ma crediamo che si fare qualcosa per riequilibrare i pesi e UNA a riguardo è attiva con attività di sensibilizzazione per promuovere l'empowerment femminile".