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OMD Talks. Federighi (Head of Fuse): Kaepernick, Asia Argento e la paura del buio

Nella rubrica su ADVexpress, Ludovica Federighi, Head of Fuse, riflette su come le aziende italiane devono costruire storie per fare marketing. Superando un approccio semplicistico alla narrazione e storie solari e a lieto fine per scommettere, invece, sulla CSR e su storie riguardanti grandi battaglie per le idee, come ha fatto Nike, dando rilevanza, nell'ultimo spot, alla protesta del quarterback afroamericano Colin Kaepernick contro Trump. La manager fa inoltre riferimento alla scelta di Sky di sostituire, nella giura di XFactor, Asia Argento con Lodo Guenzi. "É strano come, in questi tempi moderni, un Brand diventi storyteller, e uno storyteller di professione come Sky diventi un timido marketer".

 

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Un numero sempre più alto di aziende, anche in Italia, usa lo storytelling per fare marketing. Ma raccontare storie non è un mestiere facile e soprattutto è un mestiere.
Si fanno anni di studi per diventare scrittore, sceneggiatore, regista, si partecipa a corsi di scrittura creativa, si leggono migliaia di romanzi, novelle, poesie, si guardano ore e ore di film e di serie tv, si studiano i meccanismi e le strutture che portano una bella idea a diventare un racconto che colpisce il cuore e l’immaginazione delle persone.

Chi deve vendere un prodotto, di solito, non è preparato per affrontare questa professione, e si trova a costruire narrazioni improbabili e luminose, piene di entusiasmi facili e famiglie felici. Nel migliore dei casi le difficoltà della vita (di solito piccoli problemi quotidiani, con derive occasionali verso monocromi e stilizzati problemi esistenziali tipo ‘ voglio cambiare vita’) vengono superate con estrema facilità, grazie appunto all’aiuto prezioso del catartico prodotto.

Non avvezzi alla pratica narrativa, i Brand spesso hanno un approccio semplicistico alla narrazione, e prediligono storie solari con lieto fine garantito o almeno implicito ma soprattutto, storie che non trattino mai temi controversi o discussi, che li potrebbero portare in acque pericolose. In sintesi. Hanno paura del buio.

Fanno come i genitori timorosi, che pensano di proteggere i loro bambini e di risultare più graditi raccontando loro favole edulcorate ( l’ho fatto anche io, li capisco!), ma che non tengono conto di una verità elementare: la maggior parte dei bambini, appena cresciuti abbastanza da intuire che il mondo è ben più complesso di come gliel’hanno raccontato, inizia a preferire storie interessanti, anche se ciò comporta la somministrazione, sotto forma di racconto, di una buona dose di dolore, rabbia, lacrime, sangue, ansia e preoccupazioni in più per il futuro.

É proprio quel tipo di storie che li aiuta ad affrontare la vita, in tutta la sua complessità (parole di Robert McKee, che di storie se ne intende) e sapere che un genitore ha vissuto le stesse cose, se ne preoccupa e prende decisioni in merito alle difficoltà che il mondo presenta, li rassicura e dà loro una guida.

Ora siamo in presenza di un pubblico di consumatori che ha ben superato la fase della prima infanzia, nella quale erano costretti a sorbirsi senza scampo messaggi positivi ed entusiasti propinati dalle aziende tramite i pochissimi media a disposizione, e sono abbastanza certa che abbia anche già quasi superato la fase adolescenziale, dove andava bene un po' di tutto, in preda a una ubriacatura di contenuti spesso qualitativamente inesistenti, gratuiti e pronti all’uso, che ci ha raggiunti tutti non appena assaggiata
l’immensa libertà di fruizione che ci hanno regalato i social.

In questa fase abbiamo davanti un pubblico maturo, che non ha problemi a guardare - e amare - un contenuto evidentemente brandizzato, se trattato secondo le regole della narrazione più potente, o se aggiunge emozione, valore, informazione alla loro vita.

Per produrre questo tipo di storie i Brand si devono mettere l’anima in pace, e cominciare a prendere in considerazione l’intera gamma di temi e personaggi che il mondo può offrire.
Embrace the darkness. Senza paura, perché è quello che il pubblico ci chiede, certo con l’abilità – rara - di trattare argomenti e ‘characters’ complessi pur mantenendo salda e intatta l’identità del Brand.
In questo senso è particolarmente interessante e significativa la scelta di NIKE di sposare e fare propria una battaglia per le idee che certi individui stanno portando avanti, a costo di pagarne le conseguenze. (Guarda il video)

Kaepernick,  il quarterback afroamericano che in piena carriera da campione sfida Trump, perde tutti gli ingaggi possibili nell’NFL e poi ci dice It’s only crazy until you do it. Just Do it… Beh… è una bomba tale che non può non essere un segnale fortissimo per chiunque cerca di vendere un prodotto. Soprattutto dopo che questa sfida ha dimostrato di portare risultati incredibili ANCHE in termini di vendite, e Brand Trust, e intention to buy ecc. ecc. Certo, Nike è un brand che si può permettere di osare, ma la strada è segnata e non si torna più indietro: la corporate social responsibility non è più un tema è IL tema.
Nike è diventato un audace storyteller.
Nike non ha più paura del buio.

Nel frattempo, vedo che è uscita la notizia che non sarà Asia Argento la giudice di XFactor, ma un sicuramente meritevole Lodo Guenzi.
Mi guardo alcune clip del programma dove compare Asia, e ne trovo una dove una ragazza canta una canzone bellissima e struggente. La giudice, sempre inquadrata, piange senza timori, un pianto sereno, e dietro quel pianto ci leggi un fidanzato morto suicida, un ex compagno ingestibile, una figlia complicata, genitori strani, tanta vita, tanta forza e altrettanta fragilità. In sintesi, un romanzo intero.
Ma adesso abbiamo Lodo. É strano come, in questi tempi moderni, un Brand diventi storyteller, e uno storyteller di professione come Sky diventi un timido marketer.