Inchieste
Inchiesta Crowdsourcing adv. Concato: "affidereste la salute dei vostri cari al medical crowdsourcing?"
Questa la provocazione lanciata dal noto creativo che, attraverso una lettera inviato al direttore, si inserisce nel dibattito sulla creatività ai tempi di Zooppa, e sull'evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista) del rapporto tra cliente e agenzia. Il motivo per cui le aziende si affidano al crowdsourcing advertising è perché, spesso, non sanno cosa vogliono.
Il recente scambio di opinioni su Zooppa & Co. non è il primo sull’argomento, già molte parole sono state spese, ma riguarda talmente il cuore e il senso del nostro mestiere che non riesco a impedirmi dal proporre qualche pensiero.
Penso tutto il bene possibile dello “special crowd sourcing” (giacché non è di puro crowd che si parla, ma di specialized crowd), penso che risponda a un bisogno del mercato e per questo penso che debba starci. Ogni volta che sento le parole condivisione, connessione, contaminazione,
partecipazione io d’istinto sorrido e mi dispongo positivamente.
Non mi sembra che per ora abbia avuto un impatto enorme sul mercato, i numeri citati da Matteo Sarzana lo dicono. 400 aperture di job per la sua compagnia sono lo standard di una sola media agenzia in un anno.
L’eccitante moltiplicazione dei touchpoint nel mestiere sta generando un’enorme richiesta di contenuti. Contenuti di ogni genere. Marchi, loghi, sigle, video, musiche, eventi, promozioni, pos, display, campagne, concorsi, idee, idee, idee.
Ma l’eccitante moltiplicazione dei touchpoint ha fatto anche sì che le miriadi di operazioni siano sempre più periferiche nelle aziende, sempre più gestite da operatori periferici e junior. Troppi di questi non sanno che cosa vogliono, non sanno chiederlo, non sanno distinguere quello che piace da quello che davvero funziona, non conoscono i migliori casi, le migliori agenzie, i migliori creativi, i migliori planner, i migliori talenti, non hanno fatto i compiti a casa. Per questo si trovano bene dentro a un servizio che ti fornisce tantissimi spunti gratis, e quello che scegli a poco. Troppe operazioni avvengono lontane dall’intelligence strategica dei brand.
Non è un caso che alcuni grandi abbiano sentito la necessità di mettere notevoli manager alla guida globale dei marchi. Lo hanno fatto P&G con Marc Pritchard, Tripadvisor con Ann Bologna,
McDonald’s con Steve Easterbrook, Uber con David Plouffe etc. Lo ha purtroppo fatto anche Blackberry con Frank Boulben, e chi vuole sentire la storia potrà venire a IF Italians Festival il 4
ottobre.
Non parlo di questi casi, ma le aziende lo fanno perché in fondo sanno bene che la cultura di comunicazione dei loro manager periferici è scarsissima. E che troppo spesso non hanno di fianco le migliori professionalità delle migliori agenzie.
Una volta la responsabilità dei valori strategici dei brand era nelle agenzie internazionali. Ma i tempi sono cambiati. Non ci sono agenzie internazionali capaci di coprire con omogeneità di
eccellenza tutti i touchpoint dovunque. Quindi i job sfuggono da tutte le parti.
Sono quindi, mi sembra, solo piccoli e medi progetti che si affidano ai creative social network.
E sarei curioso che qualcuno mi mostrasse grandi idee, capaci di cambiare davvero qualcosa, capaci di modificare in meglio lo stato di una marca, uscite da quei contest.
Ora.
Però.
Attenzione.
Caro signor direttore marketing, caro signor ceo, se a tua figlia diagnosticano la leucemia,affideresti analisi e diagnosi a un medical crowdsourcing? Faresti scegliere a un inesperto una
delle terapie che ti arrivano per farla seguire a tua figlia?O piuttosto vorresti correre dal migliore, da quello di cui parlano meglio, da quello che ha dimostrato di saper risolvere i casi, disposto a spendere molto denaro per andare a Losanna o a Rochester in Minnesota?
“Ah, ma questo è diverso.”
No. E’ identico, amore paterno a parte. C’è un problema. E c’è chi sa risolverlo.
Io so chi è. Tu, spesso, no.
Andrea Concato - Chief Operating Officer TRUE COMPANY