Inchieste

Relazioni pericolose?

Le dinamiche fra agenzie indipendenti e grandi sigle sono tutt'oggi controverse. Anche sul fronte remunerazione gli equilibri non sono ancora ben definiti. Ma se il presente vede convivere in uno stesso mercato diverse realtà, non è detto che nel futuro ci sarà spazio per tutti. Pubblichiamo l'ultima parte dell’inchiesta 'Felici e indipendenti' uscita su NC.
Complementarietà o competizione? Viene spontaneo chiedersi quale di queste dinamiche prevalga fra le agenzie indipendenti, da un lato, e quelle che fanno capo ai grandi network dall’altro, in un mercato particolare come è quello italiano, in cui l’imprenditoria nazionale gioca un ruolo di primo piano. Su questo punto le agenzie intervistate si spaccano in due. Alcune, infatti, ritengono che i ruoli svolti siano assolutamente complementari: le une, cioè, fanno quello che le grandi multinazionali invece non fanno, a più livelli. Primo fra tutti quello del dialogo con il cliente e della consulenza, a cui si accennava nell’articolo precedente. “Io, che sono fondatore e amministratore unico dell’agenzia, non mi limito semplicemente alla definizione della strategia complessiva - testimonia Cascino (Unbranded) (foto 1 a sx)-, ma vado anche sul set, seguo il lavoro e il cliente, prendo parte alle strategie commerciali”.

Parlano invece chiaramente di competizione le realtà italiane più strutturate che partecipano a gare per budget internazionali ‘contro’ le agenzie internazionali. Come spiega Saffirio (STV): “Facciamo lo stesso mestiere e spesso siamo in gara con loro per l’acquisizione di budget, dunque siamo inevitabilmente competitor”.

Le agenzie indipendenti sono spesso scelte, dunque, come alternativa a quelle dei network, anche in virtù della snellezza e del contatto diretto che instaurano con il cliente. “Oggi mettiamo a disposizione delle aziende talenti con grande esperienza, consolidate capacità e una storia di successi nel loro portfolio. Talenti direttamente disponibili al contatto diretto con la proprietà e il top management delle aziende”, spiega Arioli (Cernuto Pizzigoni & Partners) (foto 2 a sx).

Ma la competizione c’è anche se non si punta agli stessi incarichi, pensano i soci della Mortaroli&Friends: “Le grandi agenzie operano sul nostro stesso mercato, siamo per forza in competizione, anche se noi puntiamo sull’imprenditoria italiana, loro anche sui budget internazionali”.

Locali o globali?

Un discorso delicato è poi quello dell’ambito territoriale di operatività, locale o internazionale, delle agenzie indipendenti; a seconda dei casi, esso può infatti essere visto sia come elemento di complementarietà che, al contrario, come ulteriore fronte di competizione. Da un lato vi è chi vede una suddivisione di ruoli nel lavorare per aziende di tipologia territoriale diversa: agenzie italiane per aziende locali, agenzie internazionali per clienti multinazionali. Di questo parere è Aldo Biasi, che vanta con orgoglio un portafoglio clienti tutto italiano (fra cui Conad, Mutti, Guaber, Zonin, Lega del Filo d’Oro): “Le aziende nazionali si rivolgono prevalentemente alle agenzie locali, perché hanno in comune preparazione, agilità e dinamismo - spiega -. Le grandi multinazionali, continuano a usare i network internazionali, che spesso e volentieri adattano la stessa creatività nei diversi paesi, senza una vera personalizzazione”.

Mentre per Catoni (Catoni Associati) (foto 3 a sx) “il problema delle aziende multinazionali è non riuscire a parlare i linguaggi locali. Mentre c’è una grande esigenza di parlare i linguaggi veri delle realtà locali”. Per la maggior parte degli intervistati, però, questo assunto, sostenuto per anni dai grandi network, oggi non è più valido. “Le aziende che cercano qualità creativa hanno interesse a ‘comprarla’ da chiunque sia in grado di offrirla”, è convinto Saffirio (Stv). E Carcano (Zero Adv) dichiara tranchant: “Quel dogma non solo non è più valido, ma è anche antistorico. Mi piacerebbe favorire un processo in cui le agenzie forti sulla strategia e la creatività formassero alleanze, non solo in chiave paneuropea, proprio per offrire una miglior alternativa a quei clienti che si sentono costretti al solito network, che fa capo al solito raggruppamento”.

Una soluzione, questa, peraltro già adottata da alcune agenzie italiane: un esempio è Opinion Leader che si è aggregata all’Icom, il più grosso network mondiale di agenzie indipendenti di cui fanno parte 90 agenzie nel mondo. L’assenza di confini è ancora più vera se si parla nello specifico di internet, spazio aperto per eccellenza, che permette di dialogare al di là di qualsiasi distanza e barriera. Come spiega chiaramente Rocco (Kettydo): “Non dimentichiamo quanto sia estremamente liquida la piattaforma online rispetto alle altre e come sia estremamente semplice, attualmente, pianificare campagne di comunicazione internazionali sul media online”.

Remunerazione e competizione

Entriamo ora nel merito di un argomento sempre ‘caldo’ qual è la remunerazione, e molto attuale oggi che la crisi sta mescolando le carte in tavola. Da un lato, si potrebbe pensare che in virtù di una maggiore snellezza rispetto ai grandi gruppi, le agenzie indipendenti possano provare a essere più competitive di questi. In realtà, però, ciò non è generalizzabile, perché, come in ogni realtà imprenditoriale, è il posizionamento a dettare anche le logiche commerciali. Lorenzo Marini, per esempio, non esita a definire i servizi della propria agenzia “non economici, ma è il prezzo da pagare per stare in prima classe. E in comunicazione è assurdo fare i conti sulle briciole: si può risparmiare sul trans, ma non sull’amante”.

Determinante è poi anche la modalità retributiva scelta dall’agenzia. Nel caso di Aldo Biasi Comunicazione, per esempio, la scelta di essere pagati a fee “può renderci un po’ più cari delle multinazionali, che vengono pagate invece a percentuale quando questa va avvicinandosi sempre più allo zero”, spiega Biasi (foto 4 a sx). Corale, però, è la convinzione che la remunerazione debba riflettere realmente la qualità e la competenza dell’agenzia: né esagerata, ma neanche svilita. “Il cursore si deve fermare nel punto in cui permette un conto economico sano, di un’agenzia di nuova generazione che deve conoscere a fondo i valori della sobrietà e del risparmio - spiega Carcano (Zero Adv) -. La nostra agenzia è fortemente orientata al ‘less is more’, che si riferisce alla forza del pensiero creativo, con importanti risvolti anche sul fronte economico”.

Una modalità che secondo molti rispetta questo principio è quella del success fee: un compenso fisso a cui si aggiunge una percentuale sui risultati sia qualitativi che quantitativi della campagna. Lo utilizza, per esempio, Lorenzo Marini Group, in un sistema in cui confluiscono anche il costo fisso e un costo variabile legato all’investimento. E ne è un sostenitore anche Cascino (Unbranded), che però constata: “I clienti non sempre sono pronti a recepire questa logica, perché ci sono ancora troppe ambiguità nella misurazione dei ritorni delle campagne. Questo, però, sarà sempre di più ilnuovo corso della remunerazione”.

Molte agenzie, poi, come Tribe Communication e Opinion Leader, non hanno una formula economica definita, ma valutano caso per caso. Mentre per Catoni (Catoni Associati) “la modalità remunerativa migliore è quella basata su un sistema di royalties, cioè condivisione di obiettivi e risultati economici tra cliente e agenzia. Significa essere in società con il cliente, essere partner del business e incassare una percentuale sulle vendite”. Enfants Terribles, infine, ha di recente assunto un sistema in cui convergono il fee consulenziale e un listino per i servizi erogati.

In questo scenario, però, si fa sentire con forza la crisi attuale, che ha determinato una ‘caccia al budget’, all’insegna della remunerazione più bassa. “È difficile essere competitivi se si lavora sotto costo - commenta Valerio Franco (Enfants Terribles) -. Quest’anno da parte delle agenzie la caccia al budget è stata molto forte, e le aziende, di conseguenza, hanno rafforzato il potere di contrattazione”.

Sotto il mirino delle critiche, più o meno esplicite, sono le agenzie dei grandi network, che, secondo gli intervistati, diminuiscono notevolmente i propri costi, gareggiando anche per budget più locali (e dunque, in molti casi, più contenuti rispetto agli standard delle multinazionali).

Ma questo stato di cose è destinato a non durare nel tempo: perché, come ogni impresa, anche le agenzie di comunicazione se non hanno margine finiranno per soccombere. Con la conseguenza che ne emergerà un mercato nuovo.

Un futuro tutto da scrivere

Alla luce di tutto ciò che è stato analizzato fino a ora, è normale chiedersi come evolverà il mercato nel nostro paese e, soprattutto, quali dinamiche si imporranno fra le diverse tipologie di agenzie. Già un profondo cambiamento è in atto da tempo, e la crisi attuale sta accelerando questo processo, senza che al momento, però, se ne possano prevedere tutti gli effetti. Ma un’idea di quello che sarà il loro domani le agenzie interpellate ce l’hanno, ed è tendenzialmente positiva.

Quasi tutte sono convinte infatti che nel futuro ci sarà ancora spazio per le realtà indipendenti: alcuni, come Cascino (Unbranded), ritengono che sarà questo il business model vincente, a scapito di quelle delle grandi multinazionali, mentre altri, come Fusignani (Independent Ideas), pensa che “ci sarà una selezione naturale dei piccoli e un raggruppamento dei grandi: un po’ come nell’automotive, dove abbiamo assistito a joint venture internazionali tra grandi gruppi”.

“Nel caso di Enfants Terribles - spiega Franco - abbiamo creato un modello di agenzia molecolare, che elabora al proprio interno le idee, appoggiandosi per l’esecuzione a partner esterni. Sono le strutture più snelle quelle che guideranno il mercato del domani: i grandi gruppi hanno dimostrato di avere strutture e costi anacronistici, e di avere perso la capacità di parlare il linguaggio dei clienti”.

Non distingue invece fra agenzie indipendenti e multinazionali Lorenzo Marini, che indica però le qualità vincenti. “Il futuro sarà di chi incarnerà meglio di altri tre concetti base: velocità, leggerezza e duttilità.Velocità delle risposte, leggerezza, che è il contrario della pesantezza, la burocrazia. E duttilità, perché la canna di bambù, che si adegua al vento senza affrontarlo, vive a più lungo della quercia”.

Unica voce fuori dal coro, che non vede un domani per le strutture indipendenti, è Aldo Biasi, che già in passato, proprio sulle pagine di questo giornale (NC, ottobre 2008, pag. 30), aveva testimoniato l’intenzione di trasformare la propria agenzia in una realtà dalle competenze allargate anche ai nuovi mezzi e strumenti (web, social media, guerrilla, ecc.). “Quando sarà finita la crisi torneranno a essere vincenti le multinazionali - dichiara convinto - perché i mercati saranno universali. Le piccole realtà come la mia (che conta circa 20 persone, ndr) o diventeranno più grandi, inglobando competenze e aumentando di dimensione, oppure saranno destinate a scomparire. Spazio per tutti non ce ne sarà”. E quindi cosa ne sarà della sua agenzia? “A causa della crisi il progetto è stato accantonato - spiega Biasi - e lascio ai miei figli Matteo, nominato di recente amministratore delegato, e Lorenzo, direttore creativo, il compito di mandarlo avanti. Io rimarrò solo come presidente”.

Che il futuro sia roseo oppure nero, tutti concordano sul fatto che il mercato uscirà da questa crisi profondamente rinnovato nelle dinamiche, nelle strutture, e, perché no, anche nei suoi attori. C’è chi, come Lorenzo Marini, auspica il ritorno a un lavoro artistico artigianale, in cui ci sia contaminazione fra la pubblicità e i diversi campi dell’arte. Oppure chi crede, come Brini (Tribe Communication) e Trinca (Identity Design), che fra agenzie e clienti si tornerà a relazioni più stabili, basate sulla fiducia e la credibilità.

La protagonista indiscussa dovrà però rimanere lei, l’idea creativa, e l’agenzia, nel ruolo di consulente della marca, sarà la sua portavoce. Perché, per dirla con Marini, “se le idee sono le perle, ci vuole il filo di seta che le tenga insieme”.

Ilaria Myr